Rassegna storica del Risorgimento

GARIBALDINI; NIEVO IPPOLITO
anno <1989>   pagina <511>
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Ippolito Nievo in Sicilia
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esita a riconoscere che la madre si sarebbe trovata bene nel clima siciliano e in una parentesi quasi settentrionale , dopo tre giorni a Fossato, il 3 gennaio 1861 scrive all'Acerbi: Che freddo! Rimpiango Napoli e Palermo . Evidentemente, più che la condizione meteorologica, era il clima psico­logico che logorava gli entusiasmi del volontario, a cui Garibaldi aveva assegnato funzioni e responsabilità nell'amministrazione delle risorse finan­ziarie della spedizione. E fare il rendiconto in termini burocratici di una operazione rivoluzionaria era impegno morale oltre che tecnico, a cui il Nievo intendeva rispondere rigorosamente come ufficiale dell'Intendenza generale dell'Esercito, un esercito che s'ingrandiva, si modificava, si frazio­nava in una sequenza continua di eccezioni reali o pretesti di eccezioni che sottoponevano a uno sforzo arduo e impossibile il servizio amministra­tivo. In tutta la campagna condotta sotto il governo dittatoriale, l'Inten­denza ricevette e spese in ducati una somma pari a franchi 19.770.558 e centesimi 88, per un contingente medio di 24.000 uomini.
L'immensa congerie dei documenti, provanti la verità e la qualità dei pagamenti fatti scriveva il Nievo finisce ora di ordinarsi per essere sottoposta alle gran Corti dei conti di Sicilia e di Napoli (p. 176). E fu appunto per il recupero di tale documentazione e per portarla a Napoli che il Nievo tornò in Sicilia e non ritornò in continente per il naufragio in cui sparirono il suo corpo e le sue carte.
Se la stesura del rendiconto amministrativo era stata faticosa, le impressioni etico-politiche dell'impresa (che a noi interessano di più) non sono entusiastiche. Sin dai primi giorni racconta: A Marsala squallore e paura; la rivoluzione era sedata dappertutto o per dir meglio non avea mai esistito: solo qualche banda di semibriganti, che qui chiamano squadre, avevano battuto e battevano ancora qualche provincia dell'interno [...]. Il giorno dopo [lo sbarco] nelle vicinanze di Salemi cominciarono a raccozzare alcune di cotali squadre. [...] Ieri mattina all'alba [cioè il 27 mag­gio] per vie credute impossibili piombammo [su Palermo] cacciando avanti colla voce e spesso col calcio del fucile le numerose squadre che avevamo raggranellato per via (pp. 8-9). E il 24 giugno ribadisce alla cugina Bice: Rivoluzione in Sicilia non ce n'era mai stata, qualche fermento nelle squadre, qualche dimostrazione nelle città, poche rappresaglie e feroci dei regii, ecco tutto (p. 17).
La conquista di Palermo è descritta come una movimentata scena in cui i picciotti fuggivano d'ogni banda, mentre ottocento garibaldini sconfiggevano venticinquemila soldati dell'esercito regolare borbonico cor­rendo due di qua, uno di là come le pecore, in cerca dei Napoletani per farli sloggiare, e dei Palermitani per far loro fare la rivoluzione o almeno qualche barricata (p. 18). La rivoluzione in Sicilia ripete alla madre fu tutto merito nostro che le abbiamo creduto, e l'abbiamo suscitata o per meglio dire fatta da noi soli! (p. 23).
Costretto a restare a Palermo, mentre la spedizione vittoriosa prosegue per la Calabria e per Napoli, l'umor nero del Nievo s'accresce. La città è piena di poltroni, la Sicilia isola dei barbari è una brutta posizione per giudicar favorevolmente il genere umano (p. 72); sarà forse colpa del Borbone o del diavolo ma non si può campare un giorno in Sicilia senza mandare a quel paese la razza umana e chi le somiglia [...]. Imposte