Rassegna storica del Risorgimento
GARIBALDINI; NIEVO IPPOLITO
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1989
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pagina
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524
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524 Libri e periodici
quello della nascente coscienza organizzativa di classe, se della regione medesima si rinunzia a fornire uno stereotipo che ormai ben poco giova all'intendimento di un processo ottocentesco nel quale, in quanto tale e fine a se stesso, nessuno più crede davvero.
Non a caso Livorno, con la sua anarchia dell'aprile 1849 e le sanguinose vicende militari del mese successivo, è la protagonista della ri proposizione di testi già editi ed abbastanza noti, che peraltro l'A. dispone e ricuce in efficace collage tendente forse più polemicamente a stigmatizzare la miopia d'interessi contingentemente restauratori della classe dirigente fiorentina, a cominciare da Ricasoli, che non ad analizzare le componenti, in realtà torbide ed eterogenee, ma appunto perciò più stimolanti e degne d'approfondimento, della resistenza livornese, così dell'estremismo della amatile come dell'arroccamento conservatore dell'elite fondiaria ed imprenditoriale.
In realtà, ed in altre parole, sgombrato il campo, come l'A. fa in modo implicito ma ben a ragione, dell'equivoco demagogico Guerrazzi, che è servito tanto spesso a palliare e distorcere la sostanza delle cose, rimangono da precisare bene i connotati della forbice, della divaricazione, tra il postiti azzini anesimo radicaleggiente ed artigiano, alla Carlo Bini, di uno Zanobetti e di un Bartellonl, il protogaribaldismo più o meno avventuristico di un Mastacchi, il patriottismo più o meno evangelico di un Maggini, da un lato, e, dall'altro, "l'incontro-scontro, e la convivenza di fatto tra personaggi che sembrano discesi dalle stampe leopoldine settecentesche come Baldasseroni ed uomini del Secondo Impero avant lettre quali Bastogi e De Larderei, tra la sinistra istituzionale, diciamo così, di Mayer ed il pedagogismo edificante e qua e là filisteo di Pietro Thouar che riduce Lambruschini in pillole degenerate e convenzionali.
Livorno, insomma, è essa stessa al suo interno un microcosmo aspramente conflittuale, nel cui ambito i forestieri, gli immigrati, i cosiddetti marginali, rivestono un ruolo che può essere stato enfatizzato a scopo deterrente dalla propaganda conservatrice, ma esiste senz'altro, ed è significativo e cospicuo, secondo le migliori tradizioni rivoluzionarie di edificazione di una nuova società che è, appunto per questo, essenzialmente antimunicipalista e quanto meno potenzialmente cosmopolita.
I documenti raccolti dall'A. e gli stessi suoi sferzanti e ben documentati giudizi costringono a riflettere in questa direzione, a conoscere meglio un mondo che i moderati avvertivano oscuramente, ma con intensità sufficiente per respingerlo con intransigenza, come altro da quello a loro proprio nella realtà e nell'utopia, ma che oggi va visto e notomizzato dall'interno, rifiutando l'esorcismo ma altresì l'apologia a segno rovesciato.
RAFFAELE COLAPIETRA
La Capitanata tra reazione e brigantaggio 1860-1864. Catalogo della mostra S. Marco in Lamis 1989, a cura di TOMMASO 'NARDELLA, presentazione di ANTONIO MOTTA; Bari, Regione Puglia, Assessorato alla pubblica istruzione e cultura, 1989, in 8, pp. 121. S.p.
Vi è una certa contraddizione, quanto meno apparente, tra l'etichetta politico-culturale di liberale inguaribile che il presentatore Motta attribuisce al curatore Nardella, e la difficoltà di discernere, a suo avviso, tra i piemontesi ed i briganti quali protagonisti del suo Ottocento romantico (quanto a lui. Motta, il discernimento è fin troppo evidente e corposo, da un lato la guerra del poveri , dall'altro l'arte di massacrare, non mi pare che ci sia da dubitare da qual banda pencoli la bilancia).
In realtà, lo ripetiamo, la contraddizione si ha soltanto in apparenza. Nardella