Rassegna storica del Risorgimento

GARIBALDINI; NIEVO IPPOLITO
anno <1989>   pagina <527>
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Libri e periodici
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perché non è trasformista né crispina, né giolittiana, ma è qualcos'altro , da radicale a socialista e fascista, senza di che è difficile immaginare una storia dell'Italia unita).
Manca una capitale o piuttosto un centro, dunque, questo il primo buco nero nell'identità nazionale postunitaria, che invano si cerca di colmare col mito uniformante più che unificante dell'americanismo a partire dallo stesso pieno fascismo; si tratta peraltro, è noto, di un fenomeno di costume universale, che ih Italia convive a lungo con una valutazione esteticamente spregiativa, che non è da sottovalutarsi, della ameri­canata come grossolanità, esibizionismo, approssimazione del linguaggio e del gusto.
Prima di allora, ed è questo, s'intende, in questa sede, il tratto del libro che maggiormente può interessarci, codesto centro di costume, per così dire, era stato identificato dalla cultura egemone di passaggio dal liberalismo al positivismo (agli idealisti l'A. non dedica alcuna attenzione, Gentile non è mai nominato, e la circostanza va se non altro segnalata) nel primato dell'economia e nell'apologia del lavoro, un acme giolittiano (l'A. sottolinea a lungo il valore di testimonianza di Federico Garlanda in merito, uno yankee dichiarato, a cui si sarebbe potuto accostare Guglielmo Ferrerò) che ha però una lunga preparazione, magari attraverso e malgrado gli arroccamenti polemici determinati dalla Comune o sfilacciati nel filisteismo peda­gogico dei Giannettini e dei Minuzzoli.
Da tutto ciò, e dai pericoli di un economicismo riduttivo , giustamente denun­ziato anche in una personalità oggi troppo conclamata e strumentalizzata come quella di Nitri, l'A. (pp. 98-99) trae la conclusione, che vale un po' da morale per l'intera indagine, che le classi dirigenti italiane ripongono una fiducia illimitata ed esclusiva nel progresso materiale e nell'accrescimento dei beni e delle merci dimentiche che e la modernizzazione implica un di più rispetto alla industrializzazione .
L'A. è andato alla ricerca di questo di più, ed è in ciò la sua coraggiosa novità metodologica, come è stato comprovato dal tono stizzoso delle repliche e dei commenti di non pochi dei suoi stessi compagni dì cordata, j
Lo spazio ci impedisce di aggiungere altro: ma da quel poco che s'è detto crediamo che sì sia compreso che l'esigenza che muove l'A. è essenzialmente civile, e storiografica in quanto civile, appunto alla Leopardi, con le suggestioni variamente culturali che possono scaturire dal localismo di un Fortunato, dei riformisti socialisti, dei cattolici veneti, fino alla grande guerra come prima realizzazione effettuale dell'unità d'Italia (e perciò il silenzio su Gentile, e su Serra, non manca di sorprendere), con l'esterofilia del romanzo, del teatro, del saggio, che da Depretis a Giolitti aveva a più riprese procurato di conseguire codesta unità a livello di classe intellettuale; e di questo spìrito civile coltissimo, moralmente impegnato senza fanatismo, intellettualmente distaccato senza indifferenza, dobbiamo essergli anzitutto grati.
RAFFAELE COLAPIETRA
RAFFAELE GIURA LONGO, Le fonti detta storia: demani e prefetti comunisti nella Basilicata dell'Ottocento', Matera, BMG Editrice, 1988, in 8, pp. 505. S.p.
Oltre i quattro quinti del grosso volume sono occupati dalla riproduzione ana­statica della raccolta a stampa delle ordinanze pronunziate dal prefetto di Basilicata nella qualità di commissario ripartitore dei demani comunali dal 31 luglio 1862 al 51 dicembre 1863, e costituiscono quindi di per sé una cospicua fonte della storia secondo l'intento della nuova collana diretta dall'A., che s'inaugura precisamente con