Rassegna storica del Risorgimento
GARIBALDINI; NIEVO IPPOLITO
anno
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1989
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pagina
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528
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528 Libri e periodici
questo volume.
Già la circostanza che si sia avvertita la necessità di questa impresa editoriale, senza data, ma con tutta probabilità immediatamente successiva alle vicende di cui si tratta, lascia supporre una sua ispirazione ufficiosa per una finalità determinata.
E quando si osservi che l'arco cronologico considerato si estende dallo stato d'assedio per Aspromonte all'indomani ed all'applicazione più intensa ed energica della legge Pica, cioè dall'acme al tramonto del grande brigantaggio sociale , sembra chiaro che quest'ultimo costituisca il chiaroscuro ed il contrappunto, per così dire, della raccolta, messa insieme per documentare ciò che si era fatto, o quanto meno era stato pronunziato , intorno ad un problema giuridico e sociale che, come quello del demanio, era evidentemente e vistosamente connesso col malessere contadino un po' da tutti riconosciuto quale fomite della socialità innegabile del brigantaggio medesimo.
Senonché codesto malessere viene ricondotto dall'A., nell'introduzione che occupa il restante scarso quinto dell'opera, appunto all'unità nazionale, di cui dunque rivendicazioni demaniali contadine ed insorgenza del mondo delle campagne rappresenterebbero elementi e risvolti di crisi (donde l'urgenza, ma anche la tempestività, di un intervento dello Stato quale quello illustrato nella raccolta) per il mezzo secolo precedente, a partire dal decennio francese, potendosi e dovendosi viceversa parlare di possibile alleanza... alleanza popolare di fatto tra borghesi e contadini, di cui proprio la riappropriazione del demanio contro gli enti privilegiati dell'antico regime, ed i relativi ceti sociali, avrebbero costituito la piattaforma unificatrice.
L'A. tiene molto a questa sua tesi, e la ripete più volte, quasi rendendosi conto che essa non può che lasciare profondamente perplessi.
Anzitutto, infatti, mai come in questo caso si dovrebbe evitare di farsi suggestionare dai verba generalia esorcizzati da Salvemini, la borghesia proprietaria e professionista caratterizzante la Basilicata in assenza di componenti commerciali ed imprenditoriali di qualsiasi genere essendo una bandiera che copre le merci più svariate, dal moderatismo di D'Errico al progressismo temperato di Albini ed a quello radicale di Petruccelli, a non parlare dei Lacava, dei Branca, dei Grippo e degli stessi Fortunato, che riescono contemporaneamente ad essere un po' di tutto (casi come quelli di Maffei o di Mignogna, con la loro stessa esemplarità, ribadiscono il proprio concreto isolamento).
In secondo luogo, si dovrebbero chiarire i motivi e soprattutto le forze che hanno reso impossibile quest'alleanza, a parte quella che l'A. chiama imbecillità borbonica e che non so se debba intendersi nel senso latino di imbecillis, cioè di inadeguatezza alle circostanze, o in quello più corpulento italiano, che non mi sembrerebbe del tutto appropriato ad un Ferdinando II.
L'A. fa benissimo a ripercorrere il primo Ottocento, come del resto anche Scirocco ha fatto col brigantaggio e sta facendo con l'amministrazione, per non lasciarsi ipnotizzare da una realtà già in gran parte compromessa e sfrangiata quale quella del 1860.
Ma I fatto che la borghesia lucana riuscisse tra il 1810 e il 1815 ad aggiudicarsi solo un terzo del patrimonio ecclesiastico disponibile illumina una imbecillitas non riportabile esclusivamente alla brevità della occupazione militare o alle lungaggini burocratiche e giudiziarie, l'accantonamento del programma demaniale con la Restaurazióne lascia libero il campo all'usurpazione borghese per appropriarsi a piene mani dei demani e per privatizzarli a suo esclusivo vantaggio donde la necessità di quella che l'A. chiama eufemisticamente vigile costanza del movimento popolare (altro che alleanza!), il clero parrocchiale di origine rurale liberaleggiante nel '48 non lo è più nel '60, così come non lo è l'episcopato, il che vuol dire che qualcosa di profondo