Rassegna storica del Risorgimento

GARIBALDINI; NIEVO IPPOLITO
anno <1989>   pagina <530>
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530 Libri e periodici
Alcuni testi opportunamente scelti e commentati dall'A. offrono bene la misura e lo spessore di codesto intransigentismo milanese prima dell'avvento rapidamente ege­monico di Albertario nel 1869, la immoralità come precipuo bersaglio polemico al di là, ma specialmente al di fuori della politica, una certa patina di superstizione e fanatismo ancien regime con al centro, non a caso, la difesa della pena di morte, la rivendicazione al cattolicesimo della funzione primaria d'insegnare al popolo a stare contento del proprio stato, benché umile.
Che cosa apporta don Davide a questo tradizionalismo tutto sommato ancora di vecchia scuola?
Anzitutto, dice benissimo l'autore, l'apertura al mondo, il canale di Suez che conta più del nuovo gabinetto Lanza, l'Internazionale che non è un mezzo inefficace per castigare le nazioni e i governi , la libertà d'insegnamento come irriducibile capo­saldo delle battaglie pubblicistiche cattoliche al di qua e al di là delle Alpi.
Quanto all'Italia, poi, la preparazione nell'astensione , che ha in Albertario un organizzatore nonché un propagandista di prim'ordine, rinviene il suo banco di prova più concreto e consistente sul governo delle amministrazioni locali, il paese reale contrapposto al legale secondo la formula di Stefano Jacini (ecco un altro rapporto da tener presente), non un ritorno impossibile alle corporazioni medievali, ma al loro spirito specialmente in quei punti in cui esse stabiliscono mutue relazioni tra padroni e artefici , odio implacabile al liberalismo, ma santificazione della democrazia alla quale è riserbato l'avvenire .
Queste ultime espressioni, che appartengono a don Davide nel congresso cattolico di Bergamo dell'ottobre 1877, contengono in nuce tutto il furibondo contrasto che lungo il successivo decennio lo contrappose ai Bonomelli ed agli Scalabrini, a cominciare dalla controrivoluzione non monarchica né statutaria né affidata al voto popolare auspicata da lui nel gennaio 1879 in contrappunto polemico alle riunioni in casa Campello, per finire con i clamorosi processi e la fondazione della Lega Lombarda che riprendeva in ben altra temperie, le tormentatissime elezioni generali del 1886, l'atmosfera del Carroccio.
L'Albertario che nell'aprile 1885 aveva saputo vedere con grande acutezza, d'accordo con Enrico Ferri, negli scioperi agricoli di Mantova la conseguenza di massa di una nuova fase del capitalismo ( Il comunismo lo mettete voi in pratica coll'accentramento delle industrie, coll'assorbimento di capitali, coll'attruppamento dei lavoranti nelle grandi officine. L'operaio non è più un individuo: è un pezzo della grande macchina chiamata produzione ) e che si era preoccupato con pari tempestività di dissipare l'equivoco del cosiddetto socialismo cristiano, non può pertanto non accogliere col più grande favore la Rerum novarum, che sanciva, in certo senso, il suo concetto di una necessaria ed inevitabile cristianizzazione della democrazia.
Ma bisogna pur dire che lungo l'ultimo decennio di vita (sarebbe morto nel settembre 1902), a parte i fatti del '98 che lo avrebbero visto ancora una volta emblematico protagonista, Albertario è pressoché del tutto eclissato, sul terreno politico, dal giovane collaboratore, e più tardi successore nella direzione dell'Osservatore, Filippo Meda.
Con Meda, e nulla lo conferma meglio degli importanti brani antologizzati dall'A., si entra in un mondo diverso, che è quello di Montecitorio e di Giolitti, Interpretato con grande autorevolezza ed intelligenza e tutt'altro che pregiudizialmente respinto, mentre satanico delinquente per Albertario era il liberalismo parlamentare ancora nel maggio 1895, quando si combattevano le elezioni generali che vedevano in Milano la capitale morale e nei milanesi Cavallotti e Turati gli uomini del giorno e soprattutto dell'avvenire.
RAFFAELE COLAPIETRA