Rassegna storica del Risorgimento
GARIBALDINI; NIEVO IPPOLITO
anno
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1989
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pagina
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532
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532 Libri e periodici
l'accavallarsi delle disposizioni spesso contrastanti del Quartiere Generale e del ministero della Marina, la genericità delle istruzioni ricevute dall'ammiraglio in capo. Tutte queste diversità di vedute sono la testimonianza dello stato di confusione esistente nelle alte sfere politico-militari, nel momento in cui la gravità della situazione richiedeva massima determinazione, efficienza, cooperazione ed unità d'intenti.
Il 21 giugno, a due giorni dalla dichiarazione di guerra, Persano ordina alla fiotta di salpare da Taranto alla volta di Ancona, nuova base di operazioni in Adriatico, scelta rivelatasi, però, infelice a causa del bacino inidoneo ad accogliere l'intera armata navale, ragione per cui una parte di essa fu costretta a gettare le ancore in alto mare, lontana dalle attrezzature portuali.
Alla risolutezza del giovane ammiraglio austriaco, W. von Tegetthoff, eroe della guerra contro la Danimarca nel 1864, farà riscontro l'inazione dell'ammiraglio in capo, il cui comportamento tenuto nel corso della guerra sarà fonte di gravi sospetti, se è vero che, all'indomani della sconfitta, in occasione del processo a lui intentato davanti all'Alta Corte di giustizia, la Pubblica Accusa deplorerà Persano per la negligenza e l'imperizia, per la disobbedienza ad ordini ricevuti e pel manco d'ardire e di coraggio .3)
Mentre la nostra flotta è ancorata ad Ancona, quella austriaca si spinge, in segno di sfida, fino alle coste della città, per poi ritirarsi indenne senza che si attuasse una qualsiasi contromisura da parte italiana. Seguì solo l'ordine del Persano alle unità di prendere il largo per una crociera in alto Adriatico, della durata complessiva di cinque giorni. Mai comunque traspare la vera intenzione dell'Ammiraglio, per cui la sua volontà di scontrarsi con il nemico risulta dubbia. Rientrato alla base, egli è costretto a riprendere precipitosamente il mare: il 14 luglio, infatti, il Consiglio di guerra, riunitosi a Ferrara, gli ordinava di salpare, il più presto possibile, pena la destituzione dall'incarico, alla ricerca di una vittoria ritenuta necessaria per risollevare il morale e l'onore della nazione, all'indomani di Custoza e per calmare la crescente irritazione prussiana per il nostro scarso impegno militare. In conformità alle disposizioni emanate dal ministro della Marina Agostino Depretis, la flotta salpava alla volta di Lissa, con il duplice obiettivo di impadronirsene e di obbligare gli Austriaci a uscire dalla sicura base di Pola. La rilevante distanza esistente tra il porto istriano e la zona delle operazioni, avrebbe garantito le navi italiane da un attacco a sorpresa del nemico. Ma l'azione contro l'isola dalmata mise a nudo l'impreparazione con la quale la Regia Marina aveva affrontato la guerra, essendo priva perfino delle carte topografiche relative ai tratti di costa ove effettuare gli sbarchi, non avendo neppure dati certi sulle fortificazioni e sui presidi avversari. L'azione, inoltre, fu segnata da una serie di errori e di manchevolezze le cui responsabilità ricadono sul comandante in capo, sugli ufficiali superiori e sul Ministero.
Mancò il fattore sorpresa per il ritardo impiegato nel tagliare il cavo telegrafico che univa Lissa alla costa; gli uomini promessi da Depretis e necessari agli sbarchi giunsero in ritardo; Albini e Vacca, infine, durante la prima giornata di attacco, lasciarono, senza autorizzazione, la zona a loro assegnata. Il solo risultato fu quello di affaticare gli uomini, diminuire le scorte di carbone e dividere le forze e a rendere ancora più problematica la situazione, la mattina del 20 luglio un avviso italiano segnalava il
quadro esauriente del progettato impegno di Garibaldi nella penisola Balcanica, si veda A. TAMBORRA, Garibaldi e l'Europa, Impegno militare e prospettive politiche, Roma, 1983, pp. 39-91.
3) Requisitoria del Pubblico Ministero presso l'Alta Corte di Giustizia nel processo contro ti conte Carlo Petlion di Persano Ammiraglio e Senatore del Regno, Firenze, 1866, p. 5.