Rassegna storica del Risorgimento

GARIBALDINI; NIEVO IPPOLITO
anno <1989>   pagina <545>
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Libri e periodici 545
salienti della storia cittadina, all'indomani della prima guerra mondiale. Il fascismo, la guerra del '40, l'occupazione titina, con il passaggio definitivo della città alla Jugoslavia, costituiscono nuove tappe di un tragico divenire storico, comune a tutta la Venezia Giulia, che, crocevia e punto d'incontro di diverse civiltà, oggi riscopre tale vocazione di ponte tra Mediterraneo e Mitteleuropa: una terra, depositaria di varie culture e di distinte civiltà, nella quale l'aquila bicipite a Trieste, il leone di San Marco a Capodistria, i blasoni delle famiglie croato-magiare degli Zrinyi-Zrinski e dei Frankopan-Frangipàn simboleggiano, tuttora, il retaggio della storia passata, e dove una volta risuonavano, e in parte ancora oggi, le lingue italiana, croata e slovena nelle vie dei borghi marinari, nei bragozzi e tra i ciliegi dell'entroterra. I canti in jiddish accom­pagnavano le cerimonie del sabato, gli ordini in tedesco e in ungherese rimbombavano tra le pareti delle imperiali e reali caserme, il serbo riecheggiava tra le volte del tempio ortodosso e, infine, il greco testimoniava gli stretti vincoli con il vicino Levante. I caffé, le società filarmoniche, i vaporetti dei collegamenti marittimi e le escursioni domenicali in montagna sono le immagini caratteristiche di un mondo oggi scomparso, ma ben radicate nella memoria, grazie ad ima generazione di scrittori da Stuparich a Comisso protagonisti della grande letteratura triestino-istriana di questo secolo.
Nel libro di Santarcangeli, il Carso, brullo e selvaggio, pietroso e desolato, fa da sfondo alla narrazione degli avvenimenti degli anni della lontana giovinezza del­l'autore e sembra osservare, quasi a somiglianza di un vecchio e saggio patriarca, il lento scivolare del tempo, il correre della vita verso la mèta ultima. Quelle rocce e quelle doline, popolate dallo gnomo Reka, dalla strega Runica e sorvolate da Maiglòckhen, l'aquila dal profumo di mughetto, costituiscono la fonte da cui sgorga il ricordo del passato.
Oggi, alla luce dei recenti e dolorosi avvenimenti, l'autore, fiumano ed ebreo, canta la lontana terra natia, ma è ben consapevole che un ritorno alle origini è impensabile. Il suo animo è finalmente libero da qualsiasi sentimento di rancore e di odio: pertanto egli colloca la Città perduta nel mondo delle ricordanze, affinché si trasformi nella nostra volontà di essere più saggi, più generosi, più longanimi degli altri uomini, perché ammaestrati dal dolore e resi sapienti dall'esilio .
ALESSANDRO MANCINI BARBIERI
GIOVANNI BELARDELLI, // mito della nuova Italia: Gioacchino Volpe tra guerra e fascismo-, Roma, Edizioni Lavoro, 1988, in 8, pp. 247. L. 20.000.
La scuola di De Felice continua a mostrare la sua vitalità in prospettiva di ripensamento e reinterpretazione del primo mezzo secolo del Novecento con al centro la nebulosa sempre più cangiante ed eterogenea del fascismo.
Vero è che di codesta disomogeneità De Felice ed i suoi tendono ad accentuare i connotati e soprattutto l'effettiva portata, l'incidenza concreta, fin quasi a parlare, in sostanza, di tanti fascismi differenti quanto diversi furono i personaggi biografati. Vi è anche la tendenza all'individualismo protagonistico tipico di questi scrittori, in sintonia con una moda anglosassone largamente diffusa, ma anche col pericolo evidente di soggiacere alle tentazioni dell'intellettualismo, dello psicologismo, e così via dicendo, come reazione più o meno calcolata all'eccesso di planitude delle precedenti