Rassegna storica del Risorgimento

REPUBBLICA ROMANA 1798-1799
anno <1990>   pagina <464>
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Mario Battaglini
la Chiesa, potenza universale, non reagì, ma subì l'aggressione e l'occu­pazione senza opporre resistenza, lasciando a pochi trasteverini e alle isolate popolazioni di piccole città come Tolfa, Albano, Città di Castello, di tentare una rivolta {peraltro impossibile), contro i francesi.
Ma da anni, ormai, la Chiesa era isolata e priva di quel carisma che l'aveva portata, specie nel periodo della controriforma, ad essere vera­mente potenza mondiale. Ora, venute meno le istanze religiose di quel periodo, lo Stato della Chiesa si mostrava per quel che era: uno Stato dalle strutture ambigue, né religiose del tutto, né del tutto laiche, nel quale la veste talare dei funzionari diveniva sempre di più, col passar degli anni, una sorta di uniforme, senza alcun supporto ideale.
Era uno Stato debole, con le finanze ormai allo stremo e l'esercito quasi inesistente. Uno Stato che, come fu giustamente osservato,81) era privo di tutti quei tessuti connettivi che altri Stati europei si erano dati da tempo . Prevale (ma solo esteriormente) l'aspetto di uno Stato che non fu mai compiutamente teocratico e di questo aspetto ciò che predomina è il lato più deteriore, fatto, come rileva Giuntella,82) di com­promessi e abiezioni.
Su questo tronco ormai in disfacimento si innesta la forza giovane della rivoluzione che distrugge gli ultimi resti di un potere terreno ormai in dissoluzione, lasciando in piedi il solo potere spirituale della Chiesa.
Questo è il significato della dichiarazione di decadenza del potere temporale, contenuta nell'Atto del Popolo Sovrano, dichiarazione che, però, non è compresa né dalle gerarchie ecclesiastiche, né dal popolo.
Le prime perché confondevano il potere terreno con quello spirituale e non sapevano distinguere l'uno dall'altro, in un equivoco allacciarsi e confondersi che non giova certo né alla Chiesa, né allo Stato della Chiesa. Il popolo, poi, vedeva nelle gerarchie ecclesiastiche solo coloro che distri­buivano elemosine e concedevano feste: per questo, per lo meno all'inizio, è contrario alle novità introdotte dai francesi. Poi si queta, non certo per dare il suo appoggio alla Repubblica, ma per osservare ciò che stava succedendo e valutarlo non da un punto di vista ideologico (non esistono patrioti a Roma) ma da uno grettamente edonistico.
Quanto ai francesi, essi non si .preoccuparono minimamente dei mille problemi del popolo romano e cercarono solo di abbagliarlo con feste e cerimonie grandiose che servirono non ad educare, ma ad addormentare.
Tuttavia qualcosa di positivo, di nuovo, involontariamente, i francesi portarono a Roma: una organizzazione amministrativa che diede una inie­zione di giovinezza nelle decrepite strutture dello Stato romano e che pesò, poi, su tutta la storia futura del governo pontificio. Si pensi a quell'editto di Pio VII del 6 luglio 1816 che sarebbe incomprensibile senza questo precedente.
81) D. CARPENETO - O. RECUPERATI, L'Italia del Settecento, Bari, 1986, p. 241. 9 Roma nel Settecento, Bologna, 1971, p. 25,