Rassegna storica del Risorgimento

ITINERARI TURISTICI RISORGIMENTALI VICENTINI (COLLANA); VICENZA
anno <1991>   pagina <396>
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Libri e periodici
dunque, si presentava come l'apostolo di una nuova moralità, più salda e concreta (p. 69), il necessario strumento d'integrazione del mondo popolare delle città e delle campagne all'interno del sistema di valori etici e sociali della borghesia.
L'affermazione della psichiatria autoritaria fu un momento importante della volontà della classe medica di svolgere un ruolo centrale, direttivo, nell'assestamento borghese della società piemontese: anche la malattia mentale era presentata, infatti, come la funesta conseguenza di uno stato di disordine morale che andava infrenato o pienamente emendato, all'interno del manicomio. Lo psichiatra era animato dalla fiducia nelle proprie capacità di correggere gli errori, di farsi giudice del bene e del male collettivi , per cui il gesto di sottomissione compiuto all'interno dell'istituzione manicomiale (immagine ridotta ed eccezionale della più vasta istituzione sociale), da parte del degente, e diventava riconoscimento dell'errore, della malattia (p. 98).
Lo psichiatra si candidava autorevolmente, quindi, a garantire con il proprio sapere l'ottimismo della sooietà borghese: in questa ottica l'atteggiamento deviante assor­bito nella sfera della malattia [...] perdeva il suo carattere di rifiuto cosciente (p. 126) che era ostico alla nuova mentalità positiva in via di affermazione. 11 medico veniva a surrogare il ruolo del prete, del confessore del povero , realizzando una sintesi tra vecchio e nuovo nella quale, afferma la Maflìodo, l'ordine ideologico del cristianesimo, messo in crisi dal nuovo sistema etico fondato sulla ragione, persisteva, arricchito, accanto alla dialettica dell'illuminismo (p. 169), All'antica paura verso il peccato si intendeva sostituire quella verso gli esiti distruttivi, per il corpo e per la mente, del disordine morale.
Anche l'emergere della funzione rieducativa della pena nell'ideologia penitenziaria del Piemonte preunitario, rispondeva alla generale esigenza di razionalizzare e chiarificare l'uso degli strumenti repressivi. Come illustra Giuseppe Nalbone nel suo saggio, la legislazione penale del Regno di Sardegna nel Settecento fu scarsamente influenzata dal dibattito illuministico sull'argomento: ancora le Costituzioni del 1770 (cinque anni dopo, dunque, la pubblicazione dell'opera di Beccaria) sancivano un sistema di punizioni strutturato intorno al principio della vendetta e del terrore, in cui l'espiazione della colpa era affidata alla potenzialità afflittiva della pena (p. 46). In questo sistema il condannato veniva considerato come un corpo totalmente estraneo alla società civile, che si preoccupava soltanto di sopprimerlo o di emarginarlo per tutta la vita (anche con segni fisici indelebili), mentre la pratica detentiva veniva attivata quasi esclusivamente per la custodia preventiva dell'accusato, in vista della sentenza del giudice.
Fu nell'età rivoluzionaria e napoleonica che il Piemonte iniziò a conformarsi ad una moderna concezione, nella quale il carcere prese ad assumere una funzione centrale: erano ancora conservate la pena capitale e quella ai lavori forzati, ma la privazione della libertà individuale diveniva di fatto la sanzione su cui sostanzialmente si materializzava la nuova normativa penale che, sulla duttilità e sulle possibilità modu-latorie di questa pena, strutturava l'articolazione del sistema punitivo ad essa col­legato (p. 68).
Vittorio Emanuele I, nel maggio 1814, reintrodusse la legislazione criminale sette­centesca, col suo corteggio di supplizi spettacolari e intimidatori; tuttavia il governo di Torino si preoccupò anche di migliorare, razionalizzandola, la propria azione di controllo sulle masse popolari delle città e delle campagne. Nei primi anni della Restaurazione, scrive Nalbone, l'iniziativa delle autorità sabaude si tradusse in un'azione in cui i fenomeni dell'indigenza e della mendicità venivano interpretati attraverso criteri di puro controllo e di contenimento degli effetti di disordine che introducevano nell'ordinamento sociale (p. 88).
Gli anni Trenta costituirono, anche per il sistema penitenziario piemontese, una linea dì demarcazione: in questo periodo l'avvio dì una politica di riforma del sistema carcerario si svolse in modo contestuale allo sviluppo di elementi di novità che segnarono profondamente la società subalpina (p. 105) mentre veniva elaborandosi un signifteutivo accostamento del criminale al malato e al folle, nella prospettiva di poter intervenire sulle cause morali che inducevano a delinquere e di poter recuperare, in molti casi, il
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