Rassegna storica del Risorgimento

SALMONA AURELIO CARTE
anno <1991>   pagina <498>
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Libri e periodici
Dal limpido articolarsi della narrazione dello storico finiscono con l'emergere, pertanto, alcuni nodi problematici di vasta portata che, per non essere sciolti durante il cauto ed esitante Settecento riformatore borbonico, condizioneranno in maniera evidente la storia futura del Mezzogiorno e della Sicilia, dalla repubblica del 1799 sino alla spedizione garibaldina e ancora più in là: l'arretratezza economica e civile con la mancata formazione di una moderna borghesia produttiva; le frustrazioni di un ristretto gruppo di intellettuali di livello europeo che vede fallire il disegno di asso­ciare il potere alla grande opera di rinnovamento; la debolezza pavida e interessata, infine, di questo potere medesimo, incapace di imporre l'autorità dello Stato e l'interesse della collettività al di sopra dell'arbitrio dei potenti e dei privilegi, talora illegittimamente acquisiti, presentì in vari settori della società meridionale.
In questo quadro sono da ricordare le pagine, dalle quali traluce una evidente simpatia umana e intellettuale, in cui Valsecchi traccia un sintetico profilo della sfortunata e per tanti versi emblematica opera di governo di Domenico Caracciolo, viceré di Sicilia dal 1781 al 1786, che piomba nell'isola come da un altro pianeta (p. 136) con lo scopo di modificare radicalmente i caratteri dell'arretrata società insulare, forte di un granitico dottrinarismo illuministico che non pecca di astrattezza ma gli consente, al contrario, di cogliere la profonda unità del problema riformatore, conce­pito nella sua totalità come riforma dello Stato, della società e dell'economia (p. 147). L'idea dominante l'azione di governo del viceré è, senz'altro, un mito: il mito del­l'assolutismo illuminato che egli intende concretizzare nella costruzione di uno Stato forte, accentrato (...) uno Stato razionalmente organizzato dove l'ordine della ragione sostituisca il caos della tradizione (pp. 136-137). Nel perseguire questo fine il Carac­ciolo vive la propria esperienza alla stregua di una missione di progresso e di giu­stizia (p. 137). A fronte di questa dispiegata energia morale e intellettuale si col­locano le rivendicazioni particolaristiche che fanno appello al debole Ferdinando e determinano il fallimento dei più ambiziosi e innovatori progetti del Caracciolo, primo fra tutti quello del catasto fondiario che, sul modello tercsiano, dovrebbe venire incontro alle esigenze della giustizia e del pubblico interesse.
Quasi un secolo dopo il tentativo illuministico di nuovo le forze sociali più conservatrici del Mezzogiorno leveranno solenni proteste contro l'impegno centralizzatore e livellatore della classe dirigente centro-settentrionale e invocheranno la necessità di salvaguardare una pretesa positiva specificità delle nazioni napoletana e siciliana: se anche uomini e gruppi legati all'autonomismo liberale e democratico saranno indotti ad unirsi allora alla protesta autonomistica pur con un ventaglio di motivazioni complesso e diversificato non v'è dubbio che essa coprirà in massima parte, nella contingenza storica successiva all'unificazione, un disegno antiunitario e, in senso lato, antimoderno.
Il compromesso denso di ambiguità che verrà raggiunto tra l'egemonia politico-sociale del tradizionali ceti dominanti del Mezzogiorno e le esigenze di progresso, di coordinamento e dì comando dello Stato unitario ben più motivato sul piano ideo­logico della monarchia borbonica del secondo Settecento contribuisce anche a porre meglio in luce, retrospettivamente, il valore di sofferta testimonianza civile e culturale del tentativo di rinnovamento globale della società e del potere compiuto dagli illumi­nisti meridionali.
STEFANO PARISELLI