Rassegna storica del Risorgimento
SALMONA AURELIO CARTE
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1991
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Libri e periodici
si accompagnò al consolidamento della proprietà latifondista, cut al più si affiancò, col tempo, quella media. Ma la specificità irpina sulla quale il volume insiste molto è costituita dal fatto che, in sede di analisi, non è possibile riscontrare alcuna differenza di conduzione tra la grande, la media e la piccola azienda. Predomina insomma a tutti i livelli il medesimo paesaggio agrario e la presenza di figure miste, proprietari e salariati, tutti elementi che nel corso degli anni '50 del Novecento fecero coniare ad uno studioso del mondo contadino italiano come il Rossi-Doria la significativa definizione di latifondo contadino .
Le ragioni di questo fenomeno andrebbero ricercate nello sviluppo storico dell'area che, a partire dall'epoca francese, conobbe la rapida integrazione della borghesia nel vecchio schieramento feudale, con la riproposizione dei caratteri distintivi di quest'ultimo (assenteismo, scarsità di investimenti produttivi, violenta riduzione o eliminazione totale dei secolari mezzi di sopravvivenza contadina, ecc.) e col fallimento generalizzato (in ragione dell'estrema arretratezza dei rapporti sociali) delle leggi eversive della feudalità.
Tutto ciò emerge con molta chiarezza dal saggio di F. Barra su La disgregazione dei patrimoni feudali (pp. 67-105). In esso ci si sofferma sulla piccola e media feudalità locale, rapace, oppressiva ed improduttiva che, a partire dal 1806, fu infatti letteralmente falcidiata dalle leggi eversive della feudalità. Al suo posto comparve, affermandosi gradualmente, un ceto di nuovi ricchi di estrazione più o meno borghese. Tuttavia, il dato saliente di questo processo di profondo ricambio sociale fu che non si riscontrò alcun rinnovamento delle strutture produttive e meno che mai l'affermazione di una borghesia commerciale ed industriale.
Meno chiaro e persuasivo, nel complesso sopravvalutato, appare invece a nostro avviso il carattere imprenditoriale dei grandi feudi irpini dei Caracciolo di Avellino e degli Imperiale di S. Angelo dei Lombardi fino alla fine del Settecento, ai quali peraltro il Barra dedica pagine molto interessanti. Per poter parlare di imprenditorialità, non è affatto sufficiente individuare la presenza di investimenti e una certa oculatezza gestionale. Ciò che veramente conta è la capacità di adattamento alle mutevoli necessità della realtà economico-produttiva, e spesso in verità si verificano crisi di questo genere.
Nei fatti, l'assenza di profitto e il prevalere di una struttura poco elastica, incapace di adattamenti, corrosa dall'indebitamento progressivo (p. 104) fecero sì che, a partire dal 1806, anche le realtà economico-produttive irpine di grandi dimensioni giungessero nel giro di qualche decennio alla completa dissoluzione, a tutto, vantaggio del ceto borghese emergente. E, d'altronde, lo stesso Barra non ha alcuna difficoltà ad ammettere che tali vicende avrebbero potuto, in un altro ambiente economico-sociale, stimolare le capacità di reazione del vecchio organismo, favorendo la trasformazione del feudo [...] m una struttura proprietaria... (p. 104).
Senza dubbio, il consolidamento di questa borghesia e la sua trasformazione in classe furono favoriti dalla massiccia immissione sul mercato, dopo il 1861, delle terre demaniali. Ed è universalmente risaputo che l'alienazione riguardò anche i demani comunali, non incontrando eccessiva opposizione e privando di fatto i settori meno abbienti che costituivano poi la massima parte delle comunità locali di una Indispensabile fonte di sussistenza.
A tale proposito, rileva A. Cogli ano nel saggio su Proprietà borghese e latifondo contadino fra Destra e Sinistra storica (pp. 133-156) che il fenomeno portò alla formazione di una media proprietà borghese e di una piccola proprietà contadina trasformatasi, di 11 a qualche anno, in serbatoio per l'emigrazione. E conclude affermando che la questione demaniale lungi dall'essere una più generale questione di assetto fondiario e di regime proprietario, è una questione politica e di ordine sociale (p. 152),