Rassegna storica del Risorgimento

REPUBBLICA NAPOLETANA 1799
anno <1992>   pagina <38>
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Libri e periodici
L'esperienza del cattolicesimo democratico scrive Giuntella ha un sud valore storico nel confronto con la tradizione cristiana, della quale vuol riscoprire il posto che dà all'uomo e alla sua socialità, con le istituzioni democratiche sorte dalle rovine dell'Antico Regime. Queste istituzioni ebbero un'esistenza troppo breve per assicurare uno sviluppo all'elaborazione del pensiero ecclesiologico che l'esigua e coraggiosa pattuglia era venuta esponendo, si può dire, di getto. La documentazione qui presentata costituisce di per sé un invito a ulteriori verifiche. Lo stesso Giuntella d'altra parte indica alcune prospettive di ricerca per una migliore identificazione del pensiero cattolico democratico e delle sue origini. Il suo interesse precipuo sembra attratto specialmente dalla formazione culturale e dalle vicende personali dei cattolici democratici che non erano di matrice giansenista. Si ha l'impressione, in generale, di una effimera comparsa senza precedenti notevoli e senza seguito , nota Giuntella esprimendo tuttavia la speranza che un ulteriore sforzo si possa ancora fare sulla base di ricerche locali . Altri spazi di indagine vengono indicati nella esplorazione del vocabolario dei cattolici democratici, controllando quanto è importato dalla Francia e quel che è rifiutato, o corretto e una più attenta disamina della vicenda delle personalità di maggiore rilievo studiate nell'intero arco della loro espe­rienza, non tanto per appurare quanto meditata sia stata l'adesione alle tesi della democrazia politica esplicitate all'epoca delle repubbliche giacobine, quanto per verificare se e in che misura a queste idee rimasero fedeli e se le loro intuizioni furono feconde di ulteriore elaborazione. Si ha rimpressione, a tratti, che terminata l'emergenza del triennio, quando la pacificazione sarà garantita da altri modelli politici (e da un concordato), la fede democratica di alcuni protagonisti della pattuglia si pieghi su se stessa e preferisca chiudersi in un prudente silenzio, magari chinandosi ancora una volta di fronte a chi porta la spada. Ci fu chi approdò, un pò* dovunque, alla predicazione di un generico sentimento di rispetto per chi deteneva il potere politico, mentre un personaggio duttile come Gaetano Giudici riuscì a mantenersi a galla nelle acque politiche in effervescenza fino alla Restaurazione, senza considerare chi, come Antonio Martini, arcivescovo di Firenze che, manifestando comprensibili preoccu­pazioni tattiche, tese a mediare tra i nuovi detentori del potere.
MARTA PIERONI FRANCINI
ALMA NOVELLA MARANI, Ciuco amigos de Rivadavia (Centro de Estudios Italianos); La Piata, Universidad Nacional de La Piata. Facultad de Humanidad y Ciencias de la Educación, 1987, in 8, pp. 282. S.p.
Un'Argentina dall'indipendenza appena consolidata aveva bisogno sul finire degli anni venti dello scorso secolo dell'apporto di idee e di lavoro di uomini di studio del Vecchio Mondo, meglio ancora se di formazione scientifica. Di quest'idea era il presidente Bernardino Rivadavia ed al suo appello, filtrato in Europa attraverso i suoi inviati ed i suoi diplomatici, risposero, tra gli altri, cinque italiani, tutti esuli dopo i moti del 1821. Sono questi i Cinco amigos de Rivadavia alle cui biografie è consacrato il libro.
ti primo è Pietro Carta Molino, piemontese, medico, chiamato alla cattedra di Fisica Sperimentale di Buenos Aires nel 1826, che insegnerà in realtà anche chimica e fisiologia e darà il massimo impulso al gabinetto zoologico e botanico dell'università. Poco dopo la caduta di Rivadavia Carta Molino si dimetterà e trascorrerà i vent'anni successivi esercitando con successo la medicina. Con il '48 riuscirà a rannodare i legami con il Piemonte ma morirà alla vigilia del rimpatrio.
Pure piemontese è Carlo Giuseppe Ferraris, farmacista, che giunge in Argentina