Rassegna storica del Risorgimento
REPUBBLICA NAPOLETANA 1799
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1992
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Libri e periodici
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come conservatore del gabinetto di chimica, fisica e storia naturale. È assistente di Carta Molino e poi di Mossotti. Lasciata l'università apre una farmacia che gestisce fino al 1842 quando è chiamato alla cattedra di farmacia.
Più movimentata e più fortunata è la carriera del terzo piemontese, Ottaviano Fabrizio Mossotti, laureato in fisica e matematica a Pavia e poi astronomo a Brera. È chiamato nel 1827 ad occupare la cattedra di matematica a Buenos Aires ma giunge in Argentina quando Rivadavia è caduto ed è obbligato a prestar servizio, invece, nel Dipartimento Topografico. Sostituisce poi all'università il Carta Molino fino al 1834 quando torna in Italia, chiamato a dirigere l'osservatorio di Bologna, incarico che non può però ricoprire per l'opposizione austriaca. Trascorre allora un certo periodo a Corfù ed è poi chiamato a Pisa dove insegna Fisica Matematica, Matematica Celeste e Geodesia. È ora uno tra i più famosi scienziati italiani ed è rimasto un fervido patriota. Nel '48, a cinquantasette anni, comanderà il battaglione universitario toscano a Curtatone. Tornato all'università vi insegna per altri quindici anni. Coronerà la sua camera e la sua vita con la nomina a senatore del regno.
È un napoletano il quarto amigo ed è il più vecchio del gruppo. Si tratta di Pietro De Angelis (di cui si è interessato anche Croce). Già militare e poi professore di italiano delle figlie di Murat insegna successivamente alla Scuola Politecnica Militare. Alla Restaurazione presta servizio come funzionario del ministero della Guerra. Carbonaro, preferisce emigrare e nel 1820-21 è incaricato di missioni diplomatiche. Escluso dall'amnistia, accetta l'offerta del governo argentino di dirigere due giornali che hanno però vita assai breve per la caduta di Rivadavia. De Angelis si dedica allora all'insegnamento privato, tornando poi al giornalismo e volgendosi, al contempo, alla storia del Sud America, di cui è forse il primo ricercatore su basi scientifiche, raccogliendo un'imponente mole di testi che, negli anni successivi, vorrebbe vendere al Brasile per poter tornare in patria. Dopo il '48 si riaccosta al governo napoletano e nel 1855 è nominato console a Buenos Aires. Pur tra difficoltà economiche prosegue ancora la sua attività di pubblicista fino alla sua morte, sopravvenuta nel 1859.
Carlo Enrico Pellegrini, savoiardo, è l'ultimo del gruppo. Esule nel 1821, ancora studente, si laurea in ingegneria a Parigi e raggiunge Buenos Aires troppo tardi per potersi applicare ai progetti idraulici per i quali era stato chiamato dal Rivadavia. Si impiega, allora, accettando incarichi tecnici di scarsa rilevanza sinché l'abilità della sua mano lo rivela come disegnatore (è uno dei primi illustratori di Buenos Aires) e, soprattutto, come ritrattista e litografo. Dopo aver trascorso un certo periodo in provincia allevando bestiame torna a Buenos Aires dove fonda il mensile Revista del Piata, a carattere scientifico e densa di impegno civile. Non trascura però la sua professione originaria ed a lui si deve il teatro Colon , il tempio della lirica nell'emisfero australe. Ingegnere municipale realizza poi numerose opere pubbliche. Ritiratosi si interessa al funzionamento del nuovo osservatorio astronomico e muore nel 1873 circondato dai figli, uno dei quali diverrà presidente dell'Argentina.
Cinque carriere, cinque vite di patrioti minori, a volte intersecantisi, tutte caratterizzate da una scelta di libertà che, sommata ad una passione civile e politica e ad una preparazione scientifica, permette ai cinque esuli di mettere a frutto i loro talenti e di ottenere, in un ambiente assai diverso da quello d'origine, i meritati riconoscimenti. Un'emigrazione diversa , non di artigiani e di contadini né di intellettuali allo stato puro, un'emigrazione qualificata. Una sorta di fuga di cervelli ante litteram, imposta dalle condizioni politiche della nostra penisola, assai fruttuosa per la terra d'asilo e che onora la terra di origine.
Assai opportuna è stata pertanto la fatica dell'autrice, che ben 'meriterebbe una traduzione italiana, magari a puntate su una delle nostre riviste storiche, così da illuminare il lettore medio sulla ricchezza e sulla profondità dei legami tra Italia ed Argentina.
PIERO CROCIANI