Rassegna storica del Risorgimento

ASSOLUTISMO ILLUMINATO ITALIA; RIFORMISMO ITALIA; STORIOGRAFIA
anno <1992>   pagina <155>
immagine non disponibile

Riformismo e assolutismo illuminato 155
dolo e della colpa, lo svolgimento del processo, le garanzie dell'imputato, d limiti dell'arresto, la funzione del carcere sono fra le questioni che scrittori come Cesare Beccaria, Gaetano Filangieri, Luigi Cremani, Paolo Risi, Alberto De Simoni, Gian Domenico Romagnosi affrontarono con sfuma­ture e soluzioni diverse ma sostanzialmente guidati dall'analoga esigenza di riformare sotto la guida della ragione e della filosofia illuminata un settore ritenuto particolarmente arretrato.
Ma se per il diritto civile, penale e processuale è dato individuare nel riformismo settecentesco non pochi antecedenti di princìpi ed impo­stazioni che costituirono poi la base delle moderne codificazioni, maggiori problemi si incontrano nella ricerca di una diretta continuità rispetto alle teorie sull'organizzazione del potere politico.
Gli scrittori illuministi erano ben consapevoli che la congerie di riforme prospettate urtava nella realtà contro un sistema particolaristico e corporativo ancora vitale, ben radicato e refrattario ad accogliere anche i più piccoli cambiamenti sicché essi, convinti dell'impossibilità di un rinnovamento delle antiche istituzioni dall'interno, concepirono l'introdu­zione delle novità in stretto collegamento con l'azione di un monarca assoluto che l'avrebbe imposta contro le forze centrifughe. Il mito del sovrano legislatore, filosofo, colto ed illuminato che, spezzando la tirannia dei corpi intermedi ed abrogando gli antichi privilegi avrebbe finalmente riordinato su basi razionali una società ancora caratterizzata dall'irridu­cibile ed arrogante particolarismo di stampo medievale, si manifestava nella seconda metà del Settecento come indissolubilmente connesso con il tema -delle riforme.19) A partire infatti dall'opera di Muratori Della pubblica felicità (1749), l'idea che solo un regime assoluto avrebbe avuto la forza di prevalere sull'opposizione dei ceti privilegiati e di imporre l'auspicata svolta, si rafforzò fino a divenire, con poche eccezioni, una costante nel pensiero dei riformisti di ogni zona d'Italia, dai membri della lombarda Accademia dei Pugni e del circolo del Caffè, tra i quali Pietro Verri, Giuseppe Gorani e Paolo Frisi, ai napoletani Gaetano Filan­gieri e Antonio Genovesi, ai toscani Giovanni Maria Lampredi e Francesco Maria Gianni, al triestino Antonio de' Giuliani, al trentino Francesco Vigilio Barbacovi.
Questa concezione paternalistica ed eudemonistica appare alquanto distante dalle teorie politiche diffuse attraverso le opere di Montesquieu è Rousseau che pure erano conosciute e .discusse negli ambienti colti della Penisola. L'influenza di questi due scrittori sul pensiero italiano è stata ampiamente dibattuta dalla recente storiografia20) e, senza dubbio,
W> C. GHISALBERTI, Dall'antico regime al 1848. Le origini costituzionali del­l'Italia moderna, Bari, 1974, pp. 31 sgg.; BAZZOLI, // pensiero politico, cit., pp. 460 sgg.
20) p. BERSELLI AMBRI, L'opera eli Montesquieu nel Settecento italiano, Firenze, 1960; S. ROTA GHIBAUDI, La fortuna di Rousseau in Italia (1750-1815), Torino, 1961; E. DE MAS, Montesquieu, Genovesi e le edizioni italiane dello Spirito delle leggi, Firenze, 1971; S. ROTTA, Montesquieu nel Settecento italiano: note e ricerche, in Materiali per una storia della cultura giuridica, raccolti da Giovanni Tarello, a. 1, 1971, pp. 54 sgg.; C. GHISALBERTI, Dall'antico regime al 1848, cit., pp. 31 sgg.; F. DIAZ, Dal