Rassegna storica del Risorgimento
ASSOLUTISMO ILLUMINATO ITALIA; RIFORMISMO ITALIA; STORIOGRAFIA
anno
<
1992
>
pagina
<
158
>
158
Maria Rosa Di Simone
Una verifica di consimili giudizi appare indispensabile nel momento in cui la storiografia politica si sta definitivamente liberando dei condizionamenti di origine (risorgimentale che consideravano il Settecento sotto il profilo riduttivo della preparazione dei moti unitari. Al riguardo va innanzitutto tenuto presente che i teorici dell'assolutismo illuminato non erano dei puri dottrinari proiettati in una dimensione astratta ed utopistica, ma al contrario si inserivano profondamente nella realtà del loro tempo, costantemente guidati dall'obiettivo concreto di modificare l'assetto vigente. In questa prospettiva, è necessario prendere atto che le loro soluzioni di fatto trovavano rispondenza nelle condizioni dell'Italia dell'epoca, dove l'alternativa all'assolutismo non era data dal sistema rappresentativo, ancora estraneo alla mentalità e alla cultura politica, ma dal mantenimento dell'assetto corporativo e particolaristico di origine medievale.
La migliore riprova della validità delle loro posizioni si ricava del resto dall'esame delle vicende istituzionali italiane del Settecento fino all'occupazione napoleonica, quando riforme e assolutismo si presentano effettivamente in stretto collegamento. Già all'inizio del secolo, lo Stato sabaudo aveva offerto un esempio di come una politica centralistica e livellatrice, ispirata al modello del re di Francia Luigi XIV, potesse ottenere decisivi risultati sul piano della modernizzazione. Anche le recenti indagini, infatti, riconoscono nella volontà autocratica di Vittorio Amedeo II il fattore decisivo di una svolta che era stata lungamente preparata dalla burocratizzazione avviata a suo tempo da Emanuele Filiberto ma che alla fine del Seicento era ben lontana dalla realizzazione a causa degli ostacoli opposti dalla natura composita dell'ordinamento e dalla persistenza di privilegi ed autonomie di ogni sorta.2 L'istituzione nel 1696 degli intendenti, che con compiti finanziari, amministrativi e politici vennero preposti alle province per arginare il potere nobiliare ed ecclesiastico formando una rete di funzionari alle dirette dipendenze del duca, è considerata la premessa di un maggiore controllo sullo Stato che veniva perseguito, fra l'altro, attraverso rilevazioni statistiche avviate in quegli anni per acquisire, secondo d suggerimenti della più avanzata trattatistica sul buon governo, i dati necessari per assumere decisioni politiche opportune ed efficaci.
Assai per tempo vennero avviate anche le rilevazioni per la formazione del catasto e se queste iniziative giunsero a compimento molti anni dopo a causa delle vicende belliche, esse suscitarono ben presto il risentimento e l'opposizione dell'aristocrazia e del clero che non a torto vi vedevano una minaccia alle loro consolidate posizioni. Contro la resistenza dei ceti privilegiati, il dispotismo di carattere personale di Vittorio Amedeo
23) Sulle riforme sabaude cfr. F. COGNASSO, // primo re sabaudo: Vittorio Amedeo II, Torino, 1932; G. ASTUTI, Legislazione e riforme in Piemonte nei secoli XVI-XVIII, in AA.VV., La monarchia piemontese nei secoli XVI-XVIII, Roma, 1951, pp. 79 sgg.; In. Gli ordinamenti giuridici degli Stati sabaudi, in AA.VV., Storia del Piemonte, Torino, 1960, voi. I, pp. 487 sgg.; G. QUAZZA, Le riforme in Piemonte nella prima metà del Settecento, 2 voli., Modena, 1957; G. SYMCOX, Vittorio Amedeo II, l'assolutismo sabaudo 1675-1730, prefazione di G. RICUPERATI, Torino, 1983.