Rassegna storica del Risorgimento

ARCHIVIO DI STATO DI ROMA FONDI DELLA PREFETTURA; LAZIO SINDACI
anno <1992>   pagina <385>
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Libri e periodici 385
figlie dei notabili dinanzi agli eccessi autoritari (p. 216): ma ciononostante i gruppi sociali giunti al potere in Piemonte con Napoleone avevano sostanzialmente conservato il programma educativo che per le ragazze aveva elaborato l'età dell'assolutismo (p. 223) poiché la politica scolastica da essi sostenuta era funzionale al rafforzamento delle strutture centrali e periferiche dello Stato.
11 periodo francese, anche se povero di iniziative concrete, non può essere tuttavia considerato, nella prospettiva storica, una fase di pura e semplice continuità con il passato per la condizione della donna in Piemonte. Esso favorì, infatti, una generale circolazione delle idee, dette inizio alla modernizzazione dei programmi di studio della scuola secondaria e, in parte, anche di quella elementare, stimolò il sorgere di una più dinamica classe di funzionari e di proprietari. Queste premesse troveranno un principio irreversibile di svolgimento negli anni Quaranta e Cinquanta dell'Ottocento in concomitanza con l'affermarsi di una società civile più dinamica e aperta alle novità intellettuali e di un sistema politico liberale.
STEFANO PARI SELLI
AA.W., Ripensare la Rivoluzione francese. Gli echi in Sicilia, a cura di Giovanni Milazzo e Claudio Torrisi; Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia editore, 1991, in 16, pp. 222. L. 25.000.
Nel quadro delle iniziative promosse per celebrare il bicentenario della Rivoluzione francese si è tenuto alla fine del 1989 un seminario di studi a Caltanissetta patro­cinato, tra diversi enti locali, anche dall'Istituto Gramsci siciliano vòlto a fornire una sintetica panoramica dello stato dell'isola tra gli ultimi anni del Settecento e l'età della Restaurazione. Tra i contributi offerti nella circostanza, e raccolti nel presente volume, si segnalano in particolare quelli di Francesco Renda (La Sicilia e l'Europa al tempo della Rivoluzione francese) e di Giuseppe Barone (La Rivoluzione e il Mezzogiorno. Monarchia amministrativa e nuove élites borghesi) animati dalla volontà di porre in questione anche con una certa dose di patriottismo insulare alcuni giudizi (e pregiudizi) storiografici relativi alla scarsa rilevanza, se non addirittura alla estraneità, della Sicilia e del Mezzogiorno rispetto alle trasformazioni del periodo rivoluzionario e napoleonico e dei primi decenni della Restaurazione, nell'ambito politico-istituzionale, sociale ed economico.
In particolare Renda nega validità alla tesi di una Sicilia sequestrata dal­l'Europa durante l'età del riformismo settecentesco e nelle successive vicende legate alla Rivoluzione, una Sicilia ingessata in un immobilismo che sarebbe stato solo scalfito dall'evento costituzionale del 1812. A suo parere, invece, l'esperienza parla­mentare del triennio 1812-1815 non va interpretata soltanto come l'effetto della generale offensiva antinapoleonica, sul piano politico, da parte dell'Inghilterra che riesce a piegare l'opposizione, diversamente motivata, della monarchia borbonica e della feudalità locale appoggiandosi agli elementi più liberali di quest'ultima. Nella cultura e nella società siciliana dei primi anni del diciannovesimo secolo non andrebbero, infatti, registrate solo posizioni di retroguardia ideologica e resistenze al mutamento: anzi occorrerebbe ormai ammettere che la Sicilia fu partecipe a pieno titolo della Rivo­luzione francese, e partecipe non solo dei suoi sviluppi che sconvolsero il continente, ma anche delle premesse che quegli sviluppi prepararono {pp. 60-61). Dunque l'A, respinge l'interpretazione di un Settecento siciliano estraneo alle idee del tempo, pur ammettendo la perifericità dell'Isola rispetto ad una Europa che vedeva altrove il