Rassegna storica del Risorgimento
ARCHIVIO DI STATO DI ROMA FONDI DELLA PREFETTURA; LAZIO SINDACI
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Libri e periodici
che con quel positivismo avevano diversi tratti in comune. In questa temperie culturale si collocava anche la critica panunziana alla dottrina del socialismo giuridico: con articoli sul Divenire sociale di Enrico Leone e Paolo Mantìca e con un apposito saggio in volume lo studioso ribadì la dannosità di ogni iniziativa mirante a scongiurare l'azione diretta del proletariato per la conquista del potere mediante provvedimenti legislativi, considerati semplici palliativi, e rilevò in quella teoria che combatteva l'individualismo volontaristico borghese e il diritto civile codificato, considerati superati dal progresso della società umana una stridente contraddizione con il giudizio marxista secondo cui le trasformazioni del diritto possono seguire, non precedere, l'evoluzione economica e sociale <pp. 55-56).
Tra il 1903 e il 1910 Panunzio collaborò, oltre che al Divenire sociale, anche ad Avanguardia socialista di Arturo Labriola, al Mouvement socialiste di Hubert Lagardelle, a Pagine libere di Angelo Oliviero Olivetti, dove, in polemica con gli anarchici, sostenne che per i sindacalisti rivoluzionari la violenza non poteva essere riguardata come un valore in sé, eslege ed antiautoritario, ma doveva inquadrarsi nell'ambito di una interpretazione scientifica della storia e di una visione sociale fondata sull'organizzazione; contro le suggestioni dell'anarchismo, dunque, Panunzio proponeva una violenza commisurata ai mezzi e agli scopi e rifiutava il pacifismo umanitario. L'ideologia della violenza razionale e l'elaborazione del concetto di autorità sociale intesa come organizzazione sindacal-produttiva non identificabile con lo Stato ma ad esso dialetticamente rapportata furono i principi in virtù dei quali maturò il progressivo distacco di Panunzio dal Partito socialista, sancito dal congresso fiorentino del 1908 e reso irreversibile con un articolo su Pagine libere del novembre 1910 in cui il sindacalista pugliese considerava superata la pregiudiziale classista del socialismo internazionale e si appellava all'area sovversiva dell'estrema sinistra dai repubblicani agli anarchici chiamandola alla lotta violenta anticapitalista e antiparlamentare per la instaurazione di una società di sindacati produttori. Nel programma panunziano si parlava ancora di antimilitarismo e di repubblica federale, forse per effetto di qualche riflesso condizionato sorto dall'antica militanza, dal momento che di lì a qualche anno esercito e monarchia appariranno allo studioso di Molfetta istituzioni non solo accettabili ma addirittura rivoluzionarie , nell'ambito della polemica interventista e della crisi del giolittismo.
Già durante la guerra russo-giapponese il ventenne sindacalista aveva mostrato l'inclinazione a lasciarsi sedurre da quello che diverrà, poco tempo dopo, il mito della guerra rivoluzionaria, pur apparendo sempre alquanto incerto nel fornire ad esso spessore teorico, nel definire, cioè, se la guerra dovesse considerarsi il momento supremo e sovvertitore delle contraddizioni della società capitalistico-borghese, ovvero quello della piena affermazione dei paesi industriali contro quelli aristocratici e premoderni. Occorre dire che avremmo gradito apprendere dall'A. qualcosa di più sul pensiero di Panunzio in ordine ai temi dell'imperialismo e del colonialismo: purtroppo anche per la guerra di Libia, che vide dividersi lo stato maggiore sindacalista e la redazione di Pagine libere fra sostenitori o avversari dell'intervento (p. 113), nel saggio si ricorda laconicamente che egli si collocò in posizione appartata, mentre non si fa cenno alle ragioni politiche di tale silenzio imbarazzato verso un'impresa condotta dall'odiato Giolitti.
L'impatto della Grande Guerra e la crisi del movimento socialista internazionale indussero Panunzio ad un approfondimento giuridico-politico del rapporto intercorrente tra forza, violenza e diritto: la guerra giustificata non poteva essere solo quella astrattamente difensiva ma anche quella che, violando l'ordine costituito, tendeva a promuovere per la sua intrinseca storicità un nuovo ordinamento giurìdico (p. 145). Questo tipo di conflitto assumeva una valenza etica che lo distingueva dal mero esercizio della forza, intesa come l'azione posta in essere da un potere vòlto a difendersi dagli assalti delle energie rivoluzionarie; esso è sempre giustificabile da un'esigenza ideale, è matrice di un diritto positivo che meglio si addice alla natura razionale, intimamente giusta, etica dell'uomo <p. 147). Tuttavia Panunzio non spiegava in che modo uomini e istituzioni