Rassegna storica del Risorgimento

GUERRA ITALO-TURCA 1911-1912; MEZZANO SEBASTIANO LETTERE
anno <1992>   pagina <518>
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Libri e periodici
GIUSEPPE PANDOLFO, Una rivoluzione tradita: i Siciliani e Garibaldi. Voi. I: Dalla costituzione del 1812 all'aprile 1860; voi. II: Da Marsala a Bronte; voi. Ili: La dittatura dei moderati in Sicilia: Da Bronte a Fantina; Palermo, Renzo Mazzone editore, 1985, 1988, in 8, pp. 192, 206, 202. L. 25.000.
Abbiamo cercato con. questo lavoro di far conoscere e dare giusto rilievo all'opera di quei Siciliani che persero la vita per l'unità italiana (p. 13): questo, dunque, lo scopo dichiarato di questo voluminoso studio in cui l'A., recentemente scomparso, ha tentato di ricostruire le gesta ed il contributo dei suoi conterranei alla causa dell'indipendenza e dell'unità nazionali. Un progetto, è anche superfluo sotto­linearlo, estremamente ambizioso, ma che pur con notevoli limiti ed un non celato fine divulgativo che potrebbe far storcere il naso agli addetti ai lavori può dirsi in -parte centrato.
Consultando una bibliografia non vasta ma comunque ben selezionata, Pandolfo traccia un sintetico ma credibile profilo storico, sociale ed economico della Sicilia dalla costituzione del 1812 (quando l'isola fu l'unica terra europea a godere di una costituzione e di un parlamento che limitavano il potere assoluto del sovrano) alla tragedia di Aspromonte, un cinquantennio caratterizzato da ben tre rivolte antiborboniche (1820, 1848 e 1860) conclusosi con l'annessione al giovane Regno d'Italia. Un'annessione vissuta entusiasticamente, come un'autentica e profonda liberazione, ma che creò illusioni presto deluse, soprattutto tra quelle masse contadine che avevano sperato in Garibaldi per la ridistribuzione delle terre (una terra toccata con mano con il decreto n. 16 del 2 giugno 1860). Di fatto il processo di unificazione fini col mettere in risalto la grave antinomia tra il sud agricolo ed arretrato ed il nord in via di industrializzazione, un divario che come purtroppo ben sappiamo con il passare degli anni non fece altro che aumentare. È senz'altro esagerato quanto afferma l'A. quando scrive: La rabbiosa insoddisfazione delle popolazioni aveva ben altre motivazioni: esse furono esclusivamente di ordine pratico. I nuovi Italiani della Sicilia rimasero delusi perché trattati dai fratelli del Nord, in alcuni casi, peggio degli antichi aguzzini. Essi, che erano riusciti a riscattarsi, con tanti sacrifici di sangue e di sofferenze, dalla tirannide borbonica, dovettero constatare che la libertà di cui avevano parlato loro gli intellettuali e gli attivisti non si tramutava né in terra, né in pane <p. 17); miglioramenti, e sensibili, ve ne furono in tutti i campi nel passaggio dal vecchio al nuovo governo. È giusto, invece, quanto si afferma a proposito della disillusione cui fu soggetta la classe agraria. Il breve periodo di governo garibaldino con la sua promessa di risoluzione del problema della terra aveva fatto sognare molti e tremare altri, spingendo l'aristocrazia, antiborbonica nel suo complesso, ad accostarsi a quella corrente moderata che costituiva garanzia per la nuova monarchia e per l'ordine sociale esistente e che fini col prevalere su quel Partito d'azione che, pur avendo provocato la caduta del regno borbonico, fu costretto a passare il governo dell'isola agli uomini di Cavour.
L'integrazione fu vissuta come annessione, e non è certo azzardato affermare che buona parte dei mali odierni sono diretta conseguenza di quella frattura che si determinò tra le classi sociali all'indomani della raggiunta unificazione: in questo l'A. si riconosce pienamente nell'affermazione di Rosario Romeo, secondo cui l'idea di nazione riunita fu considerata e voluta come fatto di potenza più che di libertà .
Ma l'aspetto forse più valido del lavoro di Pandolfo risiede nel tentativo riuscito di porre nel giusto risalto fatti e personaggi spesso trascurati o mal interpretati in altre ricerche storiche: identificare le lotte condotte dai siciliani con le attività dei mafiosi vuol dire negare o comunque sminuire il contributo di una classe intellettuale siciliana la quale pur con esitazioni e manchevolezze aveva saputo dirigere le rivoluzioni precedenti quella vittoriosa condotta da Garibaldi e preparare il terreno all'eroe nizzardo.