Rassegna storica del Risorgimento

GUERRA ITALO-TURCA 1911-1912; MEZZANO SEBASTIANO LETTERE
anno <1992>   pagina <524>
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Libri e periodici
che Dante ed i suoi amici,, t Fedeli d'Amore {ossia i poeti del Dolce Stil Novo) fossero una sètta ghibellina, che dissimulava in ambiente guelfo il suo ghibellinismo e designava nella donna mistica l'idea imperiale. In seguito trasformò la sua interpre­tazione e, ricollegando tutto questo movimento ai misteri antichi, considerò i Fe­deli d'Amore come continuatori di un misterioso culto pitagorico per una Sapienza iniziatica e odiatori della Chiesa e della sua dottrina. Così lo spunto di partenza di Rossetti si confuse, ondeggiò tumultuosamente in molti e prolissi volumi che met­tevano in luce elementi importanti, ma nei quali facevano gravemente difetto la meto­dologia e la chiarezza espositiva. Nel giro di pochi anni, tutta la sua opera ricevette attacchi violentissimi da parte di critici astiosi non di rado fino alla denigrazione personale, che distrussero quell'interpretazione suggestiva ma facilmente espugnabile.
Uno dei critici fu il sacerdote napoletano Gennaro Schcnardi, tipico rappresentante della cultura borbonica, con i suoi saggi anlirossettiani apparsi nel corso degli anni Quaranta sul periodico La Scienza e la Fede, di cui era assiduo collaboratore. La rivista, tutta trono e altare, stampata nella capitale del Regno delle Due Sicilie, dove le autorità non avevano dimenticato la vivace partecipazione di Rossetti ai moti del 1820-21, mirava a rendere le scienze e le lettere non pure amiche, ma ligie alla religione cattolica (p. 176). Nell'ambito di un simile programma, un'attenzione speciale era dedicata alla salvaguardia dell'ortodossa esegesi dell'opera di Dante. Tuttavia il poeta si prestava poco a fungere da puntello al potere temporale dei papi, perciò Schenardi criticando Rossetti tentò una giustificazione che in ultima analisi comportava una svalutazione della Divina Commedia: Sebbene Dante Alighieri mali­gnasse anch'egli pel temporale dominio de' Papi; pure quella è poesia, e nella poesia si fan più ricacciati i colori, e la immaginativa e l'affetto piglian la mano sulla verità delle cose . E ancora: Sol peccato in Dante è il livore contro i capi della parte guelfa ch'erano i Papi, e la strabocchevole speranza nel sole imperiale: fallo non lieve in vero (p. 180). D'altronde al detto napoleonico posto in epigrafe da Rossetti al suo opuscolo Roma verso la metà del secolo decimonono, La décadence de l'Italie date du moment où les pretres ont voulu gouverner , Schenardi aveva già opposto l'impossibilità di rinvenire altro reggimento degli antichi e de* moderni che con sapienza e mansuetudine pari a quella de' Papi avesse tenuto il reame (p. 179).
L'episodio rievocato da Toscano dimostra, insomma, come l'ammirazione per Dante non fosse, nell'Ottocento, esclusivo appannaggio dei letterati di professione. La poesia del fiorentino era penetrata in larghe schiere di lettori ed il moltiplicarsi delle edizioni e degli studi, così come delle violente polemiche, confermava l'idea di Rossetti secondo cui lo spirito di Dante (ma del Dante dei patrioti, non certo di quello degli eruditi borbonici) era ormai lo spirito del secolo <p. 184).
FILIPPO RONCHI
Ponti documentarie sulta legislazione elettorale, 1848-1882, a cura di VINCENZO FRANCO, ALEXANDRA KOLEGA, ANGELA LANCONELLI, MARIA ANTONIETTA QUESADA, presenta­zione di Adolfo Sarti, prefazione di Anton Paolo Tanda; Roma, Camera dei Deputati (Quaderni dell'Archivio storico, n. 1), 1991, in 8, pp. 174. L. 20.000.
Presentando al pubblico italiano l'ampio studio di Pier Luigi Ballini, Le elezioni nella storia d'Italia dall'Unità al fascismo. Profilo storico-statìstico, Bologna, 1988, Hartmut Ullrich osservò che da esso emergeva un quadro contradittorio: una quantità insospettata di contributi alla storia delle elezioni in Italia, ma nel contempo un'im­pressione complessiva d! lacunosità, specialmente rispetto alle ricerche storiche elettorali