Rassegna storica del Risorgimento
GUERRA ITALO-TURCA 1911-1912; MEZZANO SEBASTIANO LETTERE
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Libri e periodici
GIAN MARIO BRAVO, Marx ed Engels in Italia. La fortuna gli scritti le relazioni le polemiche; Roma, Editori Riuniti, 1992, in 8, pp. XI1I-320. L. 45.000.
Il volume raccoglie dieci contributi sulla prima conoscenza di Marx e di Engels nella penisola, su alcuni momenti e significati della loro percezione dell'Italia, sulla diffusione e sulla fortuna, editoriale e culturale, dei loro scritti nella seconda metà dell'Ottocento, con qualche riferimento anche ad epoche più vicine. Secondo Bravo, il marxismo italiano, nella sua storia, ha avanzato sia interpretazioni che sono state originali, e tali continuano ad essere, e molte letture che di volta in volta sono state dette vecchie, o banali, o ripetitive, o semplicemente paesane (come le roventi polemiche di Achille Loria). È parimenti sicuro che in Italia, come ebbe ad osservare Lukàcs a proposito del marxismo di Michels, moltissima acqua venne versata nel vino rivoluzionario di Marx.
D'altra parte, è noto l'interesse con cui Marx ed Engels seguirono gli avvenimenti italiani, spesso con intenti polemici. Si pensi all'attenzione prestata per decenni a Mazzini, ai movimenti da lui suscitati e alla sua scarsa sensibilità sociale, sempre posta in luce da Marx. 11 dibattito con gli italiani, nel cui àmbito è da considerare il ruolo giocato da Bakunin nei suoi viaggi e itinerari in Italia, ebbe una parte importante nelle proposte marxiste di azione politica . Il che è palese nella discussione Engels-Cafiero e nei frequenti collegamenti epistolari engelsiani con italiani negli anni *70, fra i quali emergono i rapporti con Enrico Bignami e con La Plebe. Ciò accadde, nota l'A., anche se nel primo movimento operaio, specie dopo la conferenza di Rimini dell'agosto 1872, dominò la critica del comunismo autoritario tedesco , come Cafiero definiva la teorizzazione marxista. A circoscrivere per qualche lustro la diffusione del marxismo contribuì anche l'influsso esercitato, fin dai primi anni '60 e specialmente negli ambienti democratici, da Ferdinand Lassalle, il cui insegnamento fu decisivo, anche se spesso misconosciuto, sia agli albori del socialismo italiano sia negli anni di affermazione del marxismo della Seconda Internazionale. Il fatto è anche testimoniato dalla prima vasta raccolta in lingua italiana di testi marx-engelsiani, che fu in realtà una pubblicazione a cavallo tra la fine dell'Ottocento e il nuovo secolo in otto volumi curati da Ettore decotti, delle Opere di Marx, Engels e Lassalle. Fino al termine degli anni '80 e all'inizio degli anni '90 non si ebbe una diffusione massiccia degli scritti marx-engelsiani, sebbene la traduzione del Capitale, riservata specialmente al mondo accademico, risalisse al 1882-1886, e il riassunto popolare del testo marxiano, elaborato da Cafiero, fosse del 1879, mentre scritti militanti già circolavano da qualche lustro. Il fatto è, sottolinea opportunamente Bravo, che soltanto con la turatiana Crìtica sociale, con le traduzioni di Pasquale Martignetti e con i corsi universitari e le edizioni d'essi di Labriola si può cominciare a parlare di una conoscenza più precisa, non circoscritta a singoli o a gruppi ristretti, ovvero non riservata soltanto ai ceti intellettuali e agli ambienti economici. Peraltro, già Michels aveva posto in luce questi elementi, comprovando la scarsa originalità di un marxismo dedito soprattutto alla propaganda, ma adeguato all'arretratezza della formazione sociale nazionale e tale da risentire di sollecitazioni politiche e culturali autoctone. Per di più, nel movimento operaio e nel socialismo italiani, perfino negli ultimi decenni del secolo, quand'anche non si voglia tener conto di Mazzini e del movimento sociale a lui facente capo, egemone almeno fino al 1871, non possono essere ignorate le spinte ideali dei grandi della sinistra sociale e dell'azionismo, a partire da Carlo Pisacane per giungere a Garibaldi.
Il marxismo, nella sua prima versione italiana, dovette scontrarsi, oltre che con l'indubbio primitivismo economico e culturale, dapprima con lo stesso Mazzini, poi con Bakunin e il predominio dell'antiautoritarismo, più congeniale, per Bravo, alla situazione di marginalità in cui agiva il nascente movimento operaio. E dovette fare i conti con la subcultura piccolo-borghese, propria del sottosviluppo e di un paese