Rassegna storica del Risorgimento
DE SANCTIS FRANCESCO
anno
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1993
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pagina
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20
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20
Antonio Carrannante
di vista metodologico e didattico l'insegnamento del marchese napoletano era estremamente sensibile e moderno, come ci dimostra la descrizione che proprio il De Sanctis ci dà di quelle lezioni. Aggiungerei anche che non ci interessa accertare storicamente che il Può ti, come insegnante, fosse proprio cosi come ce lo descrive il De Sanctis; a noi basta sapere che il De Sanctis amava ricordarlo così, perché così lo aveva visto, così aveva vissuto quell'esperienza fondamentale della sua formazione culturale ed umana:
Dal suo modo di scrivere parrebbe uomo grave e compassato; ma era tutt'altro . Così, quasi in tono dimesso, il De Sanctis inizia questa pagina che resta una delle sue pagine umanamente più ricche e scientificamente più valide; una delle sue pagine più conosciute, ma che è sempre bene tornare a meditare; e la pazienza del lettore mi perdonerà, spero, la lunghezza della citazione.
Amenissimo, vivacissimo, pieno di motti e di lazzi alla napoletana, non insegnava, non si metteva in cattedra, conversava, raccontava spesso, si divertiva e divertiva: non c'era aria lì né di scuola né di maestro: parea piuttosto un convegno d'amici, un'accademia sciolta da regole e formalità. A' provinciali avveniva spesso di chiamarlo maestro, e se ne turbava: voleva esser detto marchese. Per primo atto correvano a baciargli la mano, ma la ritirava vivamente e diceva: non si bacia la mano che al Papa '. Non voleva si dicesse la scuola, ma lo f studio di Basilio Puoti ', né le sue voleva si chiamassero lezioni, ma * esercitazioni '. In effetti proprie e vere lezioni non erano o spiegazioni o teorie, ma esercitazioni nell'arte dello scrivere, traduzioni, componimenti, letture mescolate di aneddoti, di riflessioni, di giudizi, d'impeti di collera, di scuse amabili, sì che era un piacere a vederlo e a sentirlo; tutto ciò che scuola o maestro o studente ha di convenzionale, era scomparso, fino le proverbiali panche, sostituite da eleganti sedie. Il marchese non solo sdegnava di esser detto maestro, ma non ne aveva l'aria e le maniere: pareva piuttosto un amico maggiore di età e di esperienza e di studi, che stava lì compagno e guida ne* nostri lavori, e sentiva il parer nostro e ci diceva il suo, e poneva tutto in discussione, quello che diceva lui e quello che dicevamo noi. Talora avveniva che il torto l'aveva lui, e lo riconosceva di buona grazia e diceva: * Ho preso un granchio a secco '. Né questa libertà generava anarchia, essendoci differenze gerarchiche tanto più efficaci, quanto meno imposte dai regolamenti.1
Né possono essere dimenticate le pagine scolastiche del frammento autobiografico La giovinezza (scritto dal De Sanctis dopo il 1881, a parecchi anni di distanza dai fatti narrati); pagine che dovrebbero essere lette e meditate da ogni uomo di scuola, perché risultano a conti fatti di una modernità a tratti davvero sorprendente.
Le prime difficoltà del giovane e maldestro insegnante nel contatto con gli allievi, la sua suscettibilità e la sua goffagine, la sua stessa esasperante miopia; tutto sembra concorrere al fallimento di quell'esperienza. Ma ecco che pian piano, insensibilmente, l'uomo comincia a far
u> Cfr. FRANCESCO DE SANCTIS, L'ultimo dei puristi. In Scritti pedagogici, cit., pp. 52-53.