Rassegna storica del Risorgimento

CRISPI VINCENZO; ITALIA RIFORME AMMINISTRATIVE 1887-1890
anno <1993>   pagina <62>
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62 Libri e periodici
redente secondo criteri ampiamente derogatori rispetto a quelli hi vigore nel resto del Regno. In tal senso ci sì può chiedere se si trattò di un'occasione perduta.
Ai responsabili italiani fu presente durante quella particolare esperienza l'esempio francese, come peraltro era avvenuto nell'Ottocento dopo l'Unità. In questo caso l'esempio concerneva le modalità con cui il governo francese realizzo l'annessione dell'Alsazia-Lorena. L'autrice sottolinea tuttavia che in Francia al di là di notevoli affinità con l'azione del governo italiano nella Venezia Giulia e nella Tridentina mancò qualsiasi aspirazione a utilizzare l'annessione dell'Alsazia-Lorena come via per le riforme in campo giuridico.
Naturalmente in tutti il pensiero corse allora al precedente dell'annessione al Piemonte degli altri Stati preunitari tra il 1859 e il 1870. Non stupisce quindi che soprattutto da parte socialista {dal riformista Bissolati a Turati, a Ciccotti) si chiedesse in Parlamento e fuori il ricorso al plebiscito che sanzionasse l'annessione. Le particolari condizioni politico-internazionali e la presenza di circa mezzo milioni di alloglotti (sloveni in primo luogo, tedeschi e infine croati) nelle province annesse indussero la maggioranza a non indire tale plebiscito, pur manifestando anch'essa in larga parte rispetto per la diversità etnica, linguistica e culturale di quelle genti. Ciò senza dubbio segna una profonda differenza con i precedenti passaggi della formazione dello Stato nazionale: se è vero che la Grande Guerra riunì all'Italia numerosi italiani, per la prima volta diede luogo nella penisola al problema delle minoranze etniche, in parte per la mescolanza di genti diverse nelle stesse regioni, in parte per motivazioni di ordine militare ben note (controllo del Brennero e della costa orientale adriatica).
Al di là dei singoli istituti giuridici nelle terre ex asburgiche lo Stato italiano ereditò il principio di autonomia locale, uno dei cardini essenziali dell'organizzazione statale austriaca . Era un principio del tutto estraneo alla recente tradizione statuale italiana e infatti esso potè sopravvivere solo per breve tempo. Così sarebbe stato anche senza la presa di potere di Mussolini che significò l'abbandono dell'opzione autono­mistica e la scelta di un'omologazione strido sensu della Venezia Giulia e del Trentino-Alto Adige . Ancor prima della presa di potere del fascismo osserva l'autrice il crescere di correnti antidemocratiche e nazionalistiche fece cadere le speranze di apertura verso sloveni, croati e sudtirolesi sorte in seguito ai proclami dei governatori di Trento e Trieste. Determinante, secondo Capuzzo, fu l'impreparazione di una classe dirigente ohe mai prima aveva dovuto affrontare il problema delle minoranze.
I campi che più rapidamente videro la fine del regime giuridico transitorio furono quello penale e quello della giustizia amministrativa (per non dire ovviamente dei codici militari). Le norme del diritto civile austriaco furono invece completamente sostituite da quelle italiane soltanto nel 1928. Durarono quindi un lustro di più nel­l'esplicita speranza che una parte di esse potesse entrare a far parte del codice civile italiano o ispirarne alcuni mutamenti (vani furono i progetti di riforma avanzati da Chiovenda, Mortara e Carnelutti). La ricerca di Capuzzo dedica ampio spazio ai problemi della giustizia amministrativa. 11 ricco apparato di note dimostra come abbia sceverato la documentazione attinente le oltre mille sentenze della VI sezione del Consiglio di Stato che per tre anni si occupò esclusivamente di ricorsi amministrativi avanzati da residenti delle nuove province era stata costituita ad hoc per poi cedere le proprie competenze alle altre sezioni con compiti giurisprudenziali. Se ne trae un interessante spaccato di storia sociale.
Tra i molti problemi che all'epoca si presentarono vi fu quello della duplice competenza, militare e civile, affidata ai governatori militari e, successivamente, delle relazioni tra autorità militari e civili. Sebbene fondate fossero le preoccupazioni sul controllo del territorio in fase armistiziale, da tempo era stata avvertita l'esigenza che non ci si limitasse a un'amministrazione esclusivamente militare , come osservava l'ex console italiano a Trieste Carlo Galli. Le pagine di questo volume lasciano la precisa sensazione che gli alti ufficiali non abbiano nutrito affatto una sorta di