Rassegna storica del Risorgimento
CONVENZIONE DI SETTEMBRE 1864; VEGEZZI-RUSCALLA GIOVENALE
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1993
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Vincenzo Vannini
altri suoi concittadini, non vuole né può rassegnarsi senza reagire all'idea che Torino non sia più il centro politico e culturale del paese. Ma come può lui, da solo, impedire la realizzazione di un accordo internazionale sottoscritto dal suo governo? Cosa può la volontà di un singolo, o di un gruppo di cittadini, di fronte alla ragione di Stato? Si può certo reagire gridando la propria rabbia, ma dopo averlo fatto non rimane altro che chiudersi in un rassegnato silenzio. Ed è quanto ha deciso di fare lui.
Lo sconforto di Vegezzi-Ruscalla, la sua sensazione di impotenza, turbavano in quei giorni non pochi torinesi, troppo sbrigativamente accusati dalla stampa filogovernativa di municipalismo, di piemontesismo , i quali tutti avevano a pieni polmoni esternato la propria rabbia contro la condotta del governo Minghetti, definendola un'autentica prevaricazione. L'ambiguo compromesso, destinato a passare alla storia come Convenzione di settembre , suonava ai più come un palese atto di sottomissione nei confronti del potente vicino transalpino, un segno di debolezza tanto più grave quanto incerto e labile il credito internazionale di cui godeva allora l'Italia. Solo per Roma Torino sarebbe stata disposta a mettersi da parte. Questo era stato il chiaro significato del voto del 27 marzo 1861, giorno in cui Camillo Benso di Cavour aveva pronunziato di fronte ad un Parlamento sospeso in solenne silenzio il famoso discorso sintetizzabile nella felice formula di libera Chiesa in libero Stato . Sebbene l'idea di Roma all'epoca fosse stata definita da qualcuno appartenente allo schieramento moderato un anacronistico e retorico tentativo di restaurazione imperiale, col tempo si era con forza imposta all'opinione pubblica tutta, coincidendo (nell'obiettivo finale, non certo nei mezzi per raggiungerla) con il verbo democratico di stampo mazziniano e con Tazionismo militare garibaldino. La solenne proclamazione di Roma capitale era quindi diventata patrimonio comune anche dei più ostinati partigiani del municipalismo piemontese; l'unica incognita era legata ai tempi, ma tutti erano certi che prima o poi Roma sarebbe divenuta il nuovo fulcro del giovane Stato italiano, sede del suo governo e fors'anche della stessa casa regnante.
alla storia della filologia romanza in Italia: Giovenale Vegezzi-Ruscalla, in Rendiconti dell'Accademia di Archeologia, Lettere ed Arti, voi. XXVI, Napoli, 1937, pp. 233-265; C. ISOPESCU, Filologia romena all'Università di Torino verso il 1870, Torino, 1942; V. FANNINI, Alcuni studi sulla lingua romena in Italia nell'Ottocento: Carlo Cattaneo, Graziadio Isaia Ascoli e Giovenale Vegezzi-Ruscalla, in Quaderni giuliani di storia, a. IX, 1988, pp. 37-54; fu socio vivace e prepositivo di varie istituzioni ed associazioni culturali e politiche, tra cui per citare solo le più note V Associazione Agraria Subalpina , la Società Nazionale Italiana e quella Neolatina (su cui si vedano T. ONCIULBSCU, Un assiduo socio della Società Nazionale Italiana e di quella Neolatina: Il torinese Giovenale Vegezzi-Ruscalta, in Rassegna storica del Risorgimento, a. XXVII, 1940, f. Ili e C. ISOPESCU, La Società Internazionale Neolatina di Torino (1864) e l Romeni, ìn Atti del XXIV Congresso di Storia del Risorgimento Italiano, Venezia 10-14 settembre 1936, Roma, 1941, pp. 305-338). Ma soprattutto fu un sincero amico della giovane nazione romena, della cui storia, ascendenze, lingua e letteratura fu il più attivo ed attento conoscitore e propagatore in Italia. Alla Romania è legato per io più il suo nome e di questo paese riconoscente fu, negli ultimi anni di vita, console generale in Torino, la sua città natale, in cui si spense, all'età di ottantasei anni, il 29 dicembre 1885.