Rassegna storica del Risorgimento
CONVENZIONE DI SETTEMBRE 1864; VEGEZZI-RUSCALLA GIOVENALE
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1993
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189
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La convenzione di settembre
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Nel frattempo, però, era scontato che la capitale dovesse rimanere a Torino, soprattutto in considerazione del ruolo che lo Stato sabaudo aveva svolto nel conseguimento deirindipendenza nazionale. Inoltre era stato proprio quest'evento a schiudere il capoluogo subalpino dal suo storico e superbo isolamento, rendendolo così permeabile tanto alle influenze politiche internazionali più avanzate che ai fermenti politici ed ideali di cui erano custodi i numerosi esuli riparati a Torino da ogni angolo della penisola. Il Piemonte era divenuto, dall'infelice esito del biennio rivoluzionario e via via sempre più nel corso del decennio di preparazione, la patria elettiva di tutti quei patrioti (italiani soprattutto, ma anche stranieri) che vi avevano cercato rifugio per sfuggire alla vendetta dei governanti rimessi in gioco dalle baionette austriache e nel caso di Roma francesi.
Nata come città caserma, Torino aveva lentamente ma decisamente assunto le caratteristiche tipiche delle più eleganti capitali europee: lo stile architettonico, sobrio ma imponente al tempo stesso, richiamava alla mente Parigi, con qualche tocco viennese, cui aveva contribuito in maniera determinante il gusto di alcune delle spose tedesche dei regnanti. Attraversata da ampi viali alberati ed iUuminata a giorno dalla luce a gas sin dal 1839 (prima tra le capitali del vecchio continente), offriva con i suoi affollati portici e le colline sullo sfondo, uno splendido colpo d'occhio al visitatore che vi entrava per la prima volta. Ma oltre che bella, Torino era soprattutto una città funzionale, in linea con il suo ruolo di centro politico-amministrativo del piccolo e vivace regno subalpino. Sotto l'aspetto culturale non aveva, nella seconda metà del secolo decimonono, nulla da invidiare alle altre capitali italiane ed europee, avendo raggiunto un livello tale da porla alla pari con Milano, cui almeno da questo punto di vista aveva indubbiamente giovato l'occupazione austriaca che aveva prodotto nel centro lombardo una classe dirigente intellettualmente preparata ed efficiente, rispecchiante in sostanza le ambizioni della nascente borghesia. Torino non era in questo da meno, potendo contare, a fronte dà un'impostazione rigorosa, zelo e probità tali da rendere altrettanto vàlida la classe dirigente sabauda, espressione non dell'ancora immatura borghesia, quanto piuttosto di un'aristocrazia fedele e tutt'altro che arrogante. In altre parole, il centro piemontese (che, secondo il censimento effettuato nel 1861, contava oltre 200.000 anime) non era solo la capitale dinastica ed arnministrativa del regno, ma era anche e forse sopra ogni altra cosa quella culturale e morale d'Italia. Tali caratteristiche si erano difatti mantenute inalterate anche all'indomani della proclamazione del Regno d'Italia e lo era tanto più in virtù del fatto che da oltre due lustri vi risiedeva stabilmente il meglio del-VintelUgencija nazionale.2)
Una città che molto aveva dato alla causa dell'indipendenza, profondendovi risorse finanziarie, ambizioni dinastiche ma soprattutto spirito
2) V. CASTRONOVO, Torino, Roma-Bari, 1987, pp. 38-43; F. TRANIELLO, Torino, la metamorfosi di una capitate, in Atti del LUI Congresso di Storia del Risorgimento italiano (Cagliari, 1044 ottobre 1986), Roma, 1988, pp. 65-110.