Rassegna storica del Risorgimento
CONVENZIONE DI SETTEMBRE 1864; VEGEZZI-RUSCALLA GIOVENALE
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1993
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199
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La convenzione di settembre
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Augurando ad Asproni un 1865 migliore dell'anno che si era appena concluso, scrìveva infatti:
Buone Ceste, mio caro Giorgio, Ti auguro un buon anno ma ho gran paura che sarà brutto per tutti. La fiaccola della discordia s'agita tra Milano e Torino e prende grandi proporzioni [...].
È verissimo quanto ti scrivo della simpatia qui sviluppatasi pei napoletani: Gianduja e Pulcinella si stringono la mano. Coi Siciliani vi è meno accordo.
La crisi commerciale costringe a congedare operai. Avremo ladri e assassini per la fame.
Addio. Continua a scrivere contro la gente che ci sgoverna: continua a gridare contro le tasse. Finiremo per avere noi ragione.25)
Ma la sua posizione, come Asproni stesso sospettava, più che essere dettata da un sincero desiderio di cambiamento sembrava piuttosto il portato del risentimento nei confronti di un governo in cui l'elemento piemontese sebbene rappresentato non costituiva ormai che una frazione minoritaria e marginale, da parte di una classe sociale (la media borghesia) e di una popolazione di cui Vegezzi-Ruscalla poteva in quel momento essere considerato un elemento rappresentativo. Da qui le critiche alla consorteria lombardo-emiliana , la cui ostilità nei confronti delle genti meridionali vera o presunta offriva un ottimo pretesto per scrivere e parlare male del Palazzo:
Tutti gli sforzi degli onorevoli Bonghi, Massari, Ugdulena e Leopardi per
impedire un connubio tra il Nord ed il Sud italiano non riuscirono. Dio faccia che
questa simpatia si accresca ed allora saremo liberi dal partito che ci vuol servi della Francia.26
Avendo inoltre Parigi presentato la Convenzione come un'implicita rinunzia dell'Italia a Roma capitale, anche il paese transalpino offriva a Vegezzi-Ruscalla un ottimo argomento per attaccare il governo, cui non era sufficiente nascondersi dietro la giustificazione che essa era solo un passo verso la soluzione dell'annosa questione romana e che non conteneva alcuna esplicita rinuncia a Roma ma al contrario con il ritiro delle truppe francesi, offriva semmai spiragli di trattative dirette con il Pontefice. Queste erano per lui solo vuote parole, pronunziate con l'unico scopo di gettare fumo negli occhi dell'opinione pubblica. I fatti erano sin troppo trasparenti: non solo si era rinnegato il voto del 27 marzo 1861, ma il governo era ormai il mero esecutore degli ordini provenienti da Parigi:
necessità fare economie e tutti i dì si votano spese. Non si economizza che col disarmo. Dell'elogio che fa il Moniteur del congedare che facciamo
20 Lettera di Vegezzi-Ruscalla nel Asproni del 30 dicembre 1864, fondo cit. 2*) Lettera dì Vegezzi-Ruscalla ad Asproni del 19 gennaio 1865, fondo cit,