Rassegna storica del Risorgimento

Epaminonda Farini. Domenico Farini. Epistolari. Secolo XIX
anno <1994>   pagina <43>
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Epaminonda Farini a Domenico Farini 43
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Discorso di adesione
Riconoscenza e gratitudine ma gelosa scolta delle prerogative non del re ma del popolo, a mio parere voi avete derogato dal diritto e dalle leggi vostre. Noi fate, non vi abituate a farlo, perché l'uomo è fallibile, per­ché il diritto è superiore all'individualità. Ed è dovere sacro, non prostrarlo a chi si sia, perché sarebbe un'abdicazione. Una sola abdicazione sta avanti a noi, cioè ogni autorità che non emani dal popolo.
M'onorerò d'appartenere alla vostra Società ect.
Col mio individuo non acquistate, se non convinzioni profonde e costanti, quindi disprezzo di tutto che sa di superstizione, e dei suoi propalatori, che sono i preti: odio ai re, non come uomini sibbene come nemici della patria, del progresso: menzogneri gli uni, usurpatori trucolenti gl'altri.
Alla morte di Mazzini e di Quadrio, guide sicure nel difficile cammino dei principii e della moralità politica, pare sia mancato il freno alla divisione della Democrazia in due campi: in parlamentisti cioè ed astensionisti. E dai primi si vuole che giurando fedeltà al sistema monarchico, a quell'istituzione contro la quale nostri Martiri morirono combattendo apertamente, e con gli scritti e con rivoluzioni, si giunga più presto alla meta: dai secondi si contrasta, perché, oltre essere un contro senso, un'immoralità, una doppiezza, è un in­ganno più pel popolo, che pel governo. Ed i fatti ci daranno ragione, pur troppo, e già ne abbiamo degl'indizi.
Permettetemi lo dica. Una tal teoria svia l'audacia, non educa alla lealtà ed alla franchezza d'affermare in pubblico il diritto comune, il fine che è la li­bertà per tutti colla forma repubblicana. E questo esempio che è il dettato di convinzioni ferme, noi dovremmo abituarne il popolo e l'operajo, perché a suo tempo, senza maschera, che copra i suoi intendimenti, gettasse il pesante far­dello delle sofferenze, ed accettasse il guanto di sfida dei suoi oppressori! Ma a questo purtroppo non pensano i parlamentaristi, i quali sfiduciati, non credono più nella rivoluzione; ed è curiosa, che per farla credono sia più sollecito giurare fedeltà a chi si deve combattere ad oltranza!! Triste illusione. Ma io temo che con questo mezzo indiretto, ci si voglia addomesticare, e addormen­tarci fra le delizie un po' spinose davvero della grande tutrice dei progressisti; cioè della monarchia. E come vi furono dei farabuti (sic) nel passato, dubito ve ne siano anche oggi, e particolarmente fra i repubblicani d'opportunismo, di calcolo, e quindi di vacillanti convinzioni. Non si può ne­gare però che sono più gli illusi.
Noi teniamoci fermi all''associazione, come esercito, nuclei organizzati e compatti, fidenti nelle nostre convinzioni: e facciamo per quanto sta in noi d'istruirci, d'affratellarci, sicuri che le eventualità non mancheranno. Costanza dunque e fiducia incrollabile.
La rigenerazione di una nazione e di una classe non è possibile in un giorno, né in un anno, ma è frutto del Dovere compito: è effetto di una pro­fonda conoscenza di ciò che si vuole: è la religione del sacrificio. Non sfiducia, non impazienza, ma preparazione costante, assidua e seria per l'ultima battaglia che dovremo dare ai troni, per sostituirvi su solide basi il più giusto e il più vero, quello della libertà!
Wì Di incerta datazione; ma probabilmente non ulteriore agli anni settanta, per le ragioni esposte nel testo.