Rassegna storica del Risorgimento

Epaminonda Farini. Domenico Farini. Epistolari. Secolo XIX
anno <1994>   pagina <45>
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Libri e periodici 45
veva ancora in una prospettiva sovranazionale, e di sottrarsi ai condizionamenti politico-ideologici che non rendevano facile capire la figura del principe sabaudo, un uomo che apparteneva alle grandi famiglie europee, non ad una nazionalità, e che per questo non aveva trovato nulla di disdicevole nel servire fedel­mente l'Impero d'Austria. Ma la stagione dei valori sovranazionali si chiude, per Sestan, con la cesura che si verifica tra Settecento ed Ottocento. Eppure, anche uno studioso come lui, ancora profondamente legato alla visione risor­gimentale, dovrà chiedersi, nelle Considerazioni sullo stato attuale degli studi storici sulla liberazione del Veneto nel 1866 (1964), perché questa frattura ideale non fu sempre avvertita, neanche fra i ceti più elevati della società; perché, ad esempio, non tutta l'aristocrazia del Lombardo-Veneto ritenne di dover scegliere se essere italiana o tedesca; perché uomini come Antonio Sal-votti e Paride Zaiotti non considerano il loro servizio pubblico e la loro fede politica incompatibili con un'identità italiana. Sestan auspicava, perciò, un'inda­gine che scandagliasse il mondo della burocrazia lombardo-veneta e della ma­rina imperiale.
Di notevole interesse ci è sembrata, poi, in relazione alle tematiche che la Rassegna affronta, la riflessione del compianto Umberto Corsini su Sestan e il Ri­sorgimento. Lo storico dedicò a questo periodo saggi non numerosi, ma densi di contenuto. Il Risorgimento studiato da Sestan non fu quasi mai quello dei sovrani, dei ministri, dei generali, degli eroi, delle cospirazioni e dei moti insurrezionali, quanto piuttosto quello dei grandi e complessi movimenti di idee che trovavano espressione negli uomini di cultura (in questo senso, Cor­sini ha citato le ricerche su Capponi, Cattaneo, Ferrari e Romagnosi). Ancora nel 1964, nel già ricordato saggio sulla liberazione del Veneto, Sestan avver­tiva l'esigenza di uscire dall'epos e fare storia integrale del Paese (p. 106), una storia cioè di tutta la vita del Paese, in tutta la sua straordinaria va­rietà di situazioni, di pensieri, di atteggiamenti [...] anche in ciò che con­trariò o ritardò il processo unitario o vi restò estraneo (p. 108). Non lo convincevano, infatti, né la storiografia classica di indirizzo liberale, ricca di leggenda , né quella di orientamento nazionalista e fascista, che aveva fatto pur essa e a modo suo una scelta retorica tra eroi e non eroi, tra voci autentiche e non autentiche del Risorgimento (p. 107). Ma nemmeno il pro­cesso al Risorgimento intentato nel secondo dopoguerra che aveva contrap­posto borghesia a popolo minuto, città a campagna, espansionismo piemontese a tradizioni, di secolari entità statali lo aveva mai convinto. Sestan non negava il fatto che il Risorgimento fosse stato un movimento condotto da una esigua, generosa, volitiva minoranza nella stessa classe borghese che soli­tamente è presentata come quella particolarmente aperta all'idealità nazionale (p. 121). Tuttavia, per lui, non era questo il vero problema, perché in ogni caso lo Stato unitario non poteva essere ridotto ad una costruzione imposta con la violenza da gruppi minoritari, contro la volontà delle classi subalterne o nel totale disinteresse di esse. Le élites morali e culturali avevano avuto, infatti, la funzione dì rivelare qualcosa che esisteva già: l'idea del­l'unità nazionale. Quest'idea, secondo Sestan, non era un mito, si era realizzata, nel corso dei secoli, in tutta la vita culturale e morale del Paese (p. 122). Nella polemica sociale, classista e confessionale, invece, scompariva proprio il fattore principale del Risorgimento, ossia la base di una comune coscienza nazionale e di una comune cultura letteraria (p. 123), di cui si erano fatte interpreti le élites liberali e democratiche. Non è che lo storico intendesse dare un giudizio trionfalistico dell'azione dei patrioti, anzi ne ricordava le