Rassegna storica del Risorgimento

Epaminonda Farini. Domenico Farini. Epistolari. Secolo XIX
anno <1994>   pagina <54>
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54 Libri e periodici
Significato della battaglia di Solferino (1859). Atti del Convegno del 23 giugno 1989. Amministrazione Provinciale di Mantova, Biblioteca-Archivio Provin­ciale, Istituto Mantovano di Storia Contemporanea; Mantova, Tipografia Grassi, 1992, in 8, pp. 164. S.p.
Di Solferino sembrerebbe ormai inutile tornare a discutere, considerando la notorietà dell'avvenimento e la mole di studi esistenti a riguardo. Invece, interessante è risultato il convegno organizzato dall'Amministrazione provinciale di Mantova e dal Comune di Solferino cui ha aderito anche il Comitato provinciale di Mantova dell'Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano e svoltosi il 23 giugno 1989, in occasione del 130 anniversario di quella che, dopo Waterloo, fu la battaglia più sanguinosa di tutta la storia europea dell'Ottocento, con i suoi 40.000 tra morti e feriti.
La giornata di studi, ampiamente articolata, ha visto la partecipazione di Franco Della Perula {L'esercito nell'Italia napoleonica), Marziano Brignoli {La nascita dell'esercito italiano), Umberto Corsini {Vecchi e nuovi indirizzi della storiografia austro-tedesca sul Risorgimento), Luigino Bollani {Considerazioni sulla battaglia di Solferino e richiami alle radici della CRI.) e Nicola Raponi {Dal­l'amministrazione comunale lombarda a quella sarda e italiana).
In particolare, nel volume degli Atti, colpisce la relazione del gen. Rati {La battaglia di Solferino e San Martino nelle vicende del 1859), nella quale, al di là di ogni retorica e di ogni presa di posizione preconcetta, viene messo in luce il ruolo realmente svolto dall'esercito piemontese durante la decisiva giornata del 24 giugno 1859. Rati ricorda, in primo luogo, che mentre a Solferino combatterono circa 100.000 francesi contro altrettanti asburgici, a S. Martino e a Madonna della Scoperta si fronteggiarono soltanto 31.000 soldati piemontesi e 29.000 imperiali. Anche la ricostruzione del combattimento soste­nuto dalle truppe del Regno di Sardegna induce a qualche riflessione. Per tutta la mattinata, le brigate piemontesi avevano inutilmente cercato di conqui­stare le alture di S. Martino. Nel momento in cui i francesi entravano da vincitori a Solferino (ore 13.30), Vittorio Emanuele vide che le sue truppe cominciavano a ritirarsi. Il sovrano, resosi conto che il merito della vittoria era integralmente degli alleati, ordinò che venisse lanciato un nuovo attacco con l'obiettivo di occupare almeno S. Martino e Madonna della Scoperta. Alla ripresa delle ostilità, Madonna della Scoperta fu conquistata subito perché le truppe asburgiche, esposte in quel settore al fuoco delle artiglierie francesi ormai padrone del campo, avevano già abbandonato la posizione. Invece, ancora alle 19, 16.000 soldati piemontesi stavano andando all'assalto di S. Martino. Le truppe imperiali, dopo aver respinto anche quest'ultimo attacco, cominciarono a ripiegare lentamente su ordine di Francesco Giuseppe. Ma tutta la fase dei combattimenti successiva alla caduta di Solferino non sarebbe stata necessaria per i franco-piemontesi, poiché i punti chiave del teatro di operazioni erano già nelle mani dei francesi e gli asburgici si stavano ritirando. Il corpo d'ar­mata che si opponeva ai piemontesi avrebbe dovuto, quindi, ritirarsi anch'esso, in ogni caso, per evitare di essere accerchiato.
Sia dalla relazione del gen. Rati, sia da quella di Johann Reiner {L'Au­stria e la battaglia di Solferino) traspare, inoltre, come alla vittoria franco-pie­montese abbiano contribuito i numerosi e gravi errori di comando da parte prima del capo di stato maggiore asburgico, il conte ungherese Gyulai, poi dello stesso imperatore Francesco Giuseppe che, mal consigliato dalla camarilla di corte, aveva voluto assumere direttamente la direzione delle operazioni. E qui subentra un'importante riconsiderazione di ciò che era accaduto nel Lom-