Rassegna storica del Risorgimento

Epaminonda Farini. Domenico Farini. Epistolari. Secolo XIX
anno <1994>   pagina <56>
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Libri e periodici
avessero incontrato un'accoglienza cordiale da parte dei contadini della Lomel-lina, e come requisizioni ed esazioni colpissero le proprietà dei nobili e le città, centri del patriottismo, mentre i contadini venivano risparmiati al mas­simo. A ciò si aggiunga un altro elemento significativo: sia a Magenta sia a Solferino, nelle file dell'esercito asburgico, combatterono anche reggimenti ita­liani, il 16 Barone Wernardt , la cui zona di reclutamento era Treviso, ed il 45 Arciduca Sigismondo , già distintosi nel 1849 in occasione del saccheg­gio della città di Brescia, dopo la Dieci Giornate.
Si tratta di dettagli? O forse, partendo anche da questi dati, si potrebbe riaprire la discussione sulla vera natura dell'Antico Regime nel Lombardo-Ve­neto, sulla sua base di consenso, e chiedersi se esso sia caduto perché i valori del cambiamento sostenuti dai liberali e dai democratici avevano conquistato l'egemonia nel Paese, oppure a causa di una serie di sufficienze e di errori ben individuabili compiuti dagli Asburgo? Ha affermato, non a caso, Luigi Cavazzoli nel suo intervento Aspetti economico-sociali dell'Alio Mantovano negli anni delle guerre d'Indipendenza che il triangolo con ai lati il campo, la Chiesa e la famiglia, racchiude ed esaurisce il mondo del contadino [...] sovente impermeabile o, quantomeno, diffidente nei confronti del nuovo (pp. 138-141). E si potrebbe parlare di guerra civile, al limite, non solo per l'impresa dei Mille e la sanguinosa repressione del brigantaggio, ma almeno in parte anche per le guerre d'Indipendenza, visto che il carattere sovra-nazionale dell'esercito asburgico aveva dato modo ai reggimenti formati dai con­tadini lombardo-veneti di battersi contro i loro nemici. In Lombardia e nel Veneto, secondo Engels, l'odio dei contadini nei confronti dei grandi proprie­tari terrieri che facevano capo al Piemonte di Cavour superava di gran lunga l'avversione per l'oppressore straniero.
Pure il groviglio diplomatico che precedette lo scoppio del conflitto è stato approfondito, nel corso del Convegno, da Luigi Ambrosoli (Politica delle potenze, tendenze all'espansione territoriale e principio di nazionalità tra Vlom-bières e Villa]ranca), il quale ha anch'egli notato che, nell'ultima fase del convulso intreccio di contatti a livello internazionale, il governo di Vienna sottovalutò la pericolosità della situazione. La minaccia di una grande guerra franco-sarda contro l'Impero asburgico aveva, infatti, indotto l'Inghilterra a proporre una mediazione e a promuovere un congresso delle potenze per af­frontare la questione italiana. L'idea di un congresso aveva soddisfatto non solo la Prussia e la Russia, ma lo stesso Napoleone III che, di fronte alle crescenti perplessità dell'opinione pubblica del suo Paese, avrebbe voluto tor­nare sugli accordi già presi con Cavour. L'imperatore francese aveva addirit­tura invitato il Piemonte ad interrompere i preparativi di guerra, poiché l'Au­stria subordinava lo svolgimento del congresso all'attuazione del disarmo gene­rale. Eppure, proprio nel momento in cui le sue condizioni erano state accolte, fu il governo di Vienna a creare l'occasione per l'apertura delle ostilità, in­viando al Regno di Sardegna l'ultimatum del 23 aprile. Ambrosoli ritiene che si sia trattato, principalmente, di un errore di valutazione, nel senso che il ministero e la corte non credevano sul serio all'eventualità dell'intervento fran­cese e pensavano di liquidare la partita direttamente con i piemontesi. Ancora ima volta, dunque, l'accento viene fatto cadere sulla categoria di possibilità, e non su quello di necessità, cercando di resistere ad una visione della storia in termini destinali e pertanto immodificabili.
FILIPPO RONCHI