Rassegna storica del Risorgimento
Epaminonda Farini. Domenico Farini. Epistolari. Secolo XIX
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1994
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Libri e periodici 59
industriale e finanziaria impiegava il proprio denaro nel processo di produzione economica, mentre per la minuta borghesia e le classi popolari il risparmio monetario era di fatto inesistente.
Certo anche i più minuti risparmi erano del rutto impossibili per chi riusciva appena a provvedere alla propria esistenza quotidiana. Nei primo quindicennio del secolo, il vitto di un muratore toscano con moglie e quattro figli si componeva di pane, pasta, lardo, ortaggi, vino ed olio; più raramente baccalà ed acciughe, ancor meno carne bianca o bovina. Un rimedio a queste varie forme di sottoconsumo alimentare, diffusissime tra i ceti minuti e subalterni, fu cercato soprattutto dal movimento socialista, nell'organizzazione delle cooperative di consumo tra lavoratori stipendiati o salariati, che nel 1902 erano ben 322, diffuse specialmente nell'Italia centro-settentrionale. Se le cooperative costituivano uno dei mezzi più validi di cui le famiglie piccolo-borghesi e popolari dell'Italia giolittiana si servivano per accedere ad un miglior livello relativo di consumo, l'emporio rappresentava la principale sede di raccolta e vendita dei prodotti più ricercati dai raffinati o dai semplici golosi dell'alta e media società. Il catalogo della ditta torinese Paissa, ricco di prodotti di note e prestigiose marche, costituiva un testimone preciso delle opulenze estreme della belle epoque.
Durante la grande guerra, la frugalità e la parsimonia si rivelarono preziose per consentire alle famiglie di sopportare le notevoli restrizioni imposte nel vettovagliamento. Le cooperative di consumo costituirono spesso una risorsa indispensabile per i magri bilanci familiari degli impiegati, il cui potere d'acquisto era tra i più falcidiati dall'inflazione. Il carovita, infatti, potè essere controllato meglio nei comuni in cui operava una preesistente struttura cooperativistica ed associazionistica- Nel dopoguerra, l'alimentazione degli Italiani continuò a fondarsi su una nutrizione povera, con prevalente consumo di cereali, specie di frumento e mais, di riso e di patate. Con la crisi del '29, i bilanci domestici risentirono di una notevole compressione salariale, che incise con durata ed intensità variabili. Per le famiglie meno abbienti, infatti, la crisi dei consumi alimentari, sebbene fosse iniziata qualche anno prima (1924), si prolungò ben oltre il periodo della depressione per giungere fino al 1937. Per l'abbigliamento e l'abitazione tale crisi fu più breve, ma molto intensa. A tale proposito, l'Autore sottolinea gli indubbi vantaggi provenienti dalTesten-dersi della mano assistenziale del regime a quei consumi domestici concernenti l'istruzione, l'igiene e la salute, che fino ad allora erano stati tra i bisogni meno soddisfatti dalla maggioranza della popolazione. Dal 1926 al 1939, infatti, la politica assistenziale e previdenziale fu attuata con diversi provvedimenti, tra cui la legge sull'assicurazione obbligatoria contro le malattie, mediante la mutualità sindacale (1926); quelle analoghe riguardanti la tutela della maternità e dell'infanzia (1923-34) ed il coordinamento legislativo delle assicurazioni sociali (1935); l'istituzione della Cassa per gli assegni familiari generalizzati a tutti i lavoratori dipendenti (1937); la riforma generale delle assicurazioni sociali (1939). I benefici reali che ne derivarono, però, non compensarono i corrispettivi oneri finanziari imposti ai bilanci domestici. Nel decennio 1930-40, l'indice percentuale dei contributi sul salario dei lavoratori dell'industria salì progressivamente da 2,28 a 8,35. In quest'ambito, i ménages dei piccoli e medi ceti impiegatizi trassero maggiori vantaggi rispetto a quelli di altri gruppi professionali Importante il ruolo dei Dopolavori, che garantivano ai propri iscritti ed ai loro familiari diversi servizi, in apparenza aggiuntivi ma spesso sostitutivi di consumi domestici, quali gli spettacoli, gli sport, i viaggi, da sempre marginali o