Rassegna storica del Risorgimento
Storiografia. Filosofia. Secolo XVIII
anno
<
1994
>
pagina
<
155
>
Marc'Aurelio, l'imperatore filosofo 155
Il Granduca con Suo dispaccio ha avvertito me, non meno che i miei compagni nel Ministero, Corsini e Fossombroni, di non passare nelli Stati Austriaci, perché assolutamente non vi sarebbimo ricevuti. So che questa misura era stata già presa per il M.se Manfredinì: io non assumo difesa, o accusa né per me, né per altri; mi riguardo isolato da tutti; e non credo di aver troppa ambizione se pretendo di esser separato e distinto nella reputazione da tutti quelli dai quali lo sono stato, a fronte cU qualunque pericolo, nelle massime e nella fedeltà. A mio favore ho la testimonianza di tutta la Toscana, dei ministri esteri che hanno risieduto a quella Corte, e dei loro Gabinetti. E ne ho inoltre la prova la più vittoriosa e la più onorevole nell'odio orribilmente pronunziato con cui il moderno Governo francese mi ha distinto forse sopra ogni altro in Italia; nelle atroci persecuzioni di quelli ancor dei nostri che hanno imitate e protette le di lui sceleratezze. Tutt'altro averci dovuto attendere da cotesto Governo che una determinazione la quale mi associa nel disonore a questi. Giungo nel momento a dolermi di essere scampato dalle mani dei Francesi e di non aver perduto per opera loro la vita. L'onor mio, il solo bene che a costo di tutto avevo conservato, resterebbe almeno illeso.
Posso forse immaginare che si sia procurato di estendere a me pure la proibizione delli Stati Austriaci per salvare in parte l'onore di Manfredini, e non mancano costà dei di lui amici da averci impegnato anco il Granduca. Ma con qual giustizia si può unire al reo l'innocente, quello appunto che con la maggior fermezza ha pensato ed operato in opposizione? E chi è che abbia il diritto di sacrificare quasi per formalità l'onor mio per ricuoprire il disonore altrui? So ancora che Manfredinì aveva il più grande interesse perché io non mi accostassi a Vienna. Ed è perciò che Esso aveva convenuto col Commissario e col Generale francese che occupò la Toscana che si tardasse ad accordare ai Ministri del Granduca il passaporto, lasciandoli in me la vittima la più desiderata. {Nota a margine): (N.B.: Sarebbe lungo il dettaglio di questo doloroso fatto). Esso temeva che io potessi parlare degli affari passati, e pur troppo aveva da temerne se io fossi stato di diverso carattere. Per non essere io in cimento di parlarne avevo già determinato di non oltrepassare Trieste. Tanto in Toscana doppo la partenza del Granduca, che qui, mi sono imposto il più rigoroso silenzio. E solamente se ho patite delle relazioni non vere che Man-fredini ha tentato di spargere in mio aggravio, e suo discarico, ho parlato con assai di moderazione quanto basti alla difesa mia e nulla più.
Ma nell'estremità in cui, doppo aver tutto perduto per essere onesto e fedele, si voglia ancor sacrificato l'onor mio, niuno potrà darmi debito se parlerò, se scriverò, se farò giudice il pubblico della mia onoratezza, ne arrossisca pure chiunque lo merita. Una sola giustificazione mìa non devo ritardare. Allorché vedevo le mie massime contradette, le operazioni mie attraversate, che le mie proposizioni non avevano più alcun valore presso il Sovrano, e che ne veniva sicura la perdita Sua, e dello Stato, dovevo da onorato Ministro dimettermi. Ed ora manifesto che ho soddisfatto ancora a questo dovere, e che mi dimessi formalmente per scritto fino dal Novembre 1797. Il Sovrano, non ostante le mie più pressanti e replicate premure, si ostinò a volere attendere tempi più quieti per pubblicare la mia dimissione, temendo di urtare l'opinione pubblica [sottolineato nel testo]; tali sono le di lui espressioni in una di lui lettera scrittami da Pisa. (Nota a margine): (N.B.: Conosceva dunque che l'opinione pubblica era a mio favore, non di quelli al voler dei quali si abbandonava).
Ed in questa sospensione ho continuato sempre eguale a me stesso a servire con la stessa costanza di carattere in quel poco che mi si permetteva, e sempre più inutilmente perché in preda sempre alle medesime e più forti con-tradizioni. Srido tutti, ed i miei nemici stessi a notarmi quel di più che averei potuto fare per esser nel numero delle persone onorate.