Rassegna storica del Risorgimento

Storiografia. Filosofia. Secolo XVIII
anno <1994>   pagina <156>
immagine non disponibile

156
Arnaldo Salvestrìni
Reclamo adesso questa dimissione, che non può essermi negata, e riguar­dandomi già fuori del numero dei Ministri toscani, acquisto un nuovo titolo a non esser compreso nella loro espulsione dai Dominj Austriaci. Non eccito in questo affare la bontà, l'amicizia di cui Vostra Eccellenza mi ha dato tante prove, e non imploro grazia: conosco assai i sentimenti della Sua probità e della sua giustizia. A questi affido il riparo del mio onore a torto offeso.
La prego a volerlo rilevare con tutto l'impegno presso il Suo Augustis­simo e giusto Sovrano, e con la revoca o Peccezzione {sic) agli ordini che pos­sano essere stati dati, ottenermi, e farmi spedire da cotesta Cancelleria Cesarea, un passaporto per potermi trasferire a Trieste. È probabile che per i felici successi della guerra e per la clemenza con cui questi Adorabili Sovrani mi soffrono qui, io non sia per valermene. Ma in ogni caso a togliermi lo sfregio con cui non posso né devo restare.
E col maggior rispetto mi protesto, di Vostra Eccellenza
Devotiss.mo obbLmo Servit. vero Francesco Seratti ll)
Al di là degli accenti così mèlo di questa lunga lettera dell'ex capo del governo toscano al ministro degli Esteri austriaco, e al di là di tutte le considerazioni che possono farsi sul caos e sulle discordie che erano regnate all'interno della guida dello Stato toscano, una cosa è certa, ed è che il Seratti, a differenza di Wyndham, non si faceva alcuna illusione sulle reali possibilità e sui margini di azione che potevano restare o che, addirittura, egli avesse mai avuto, al Granduca dico, ormai fisicamente e letteralmente, come si è detto, prigioniero dell'Imperatore. Ed era diret­tamente all'Imperatore, dunque, per tramite del di lui ministro degli Esteri, che il Seratti si rivolgeva, incurante di dover così accusare il pro­prio Sovrano di insipienza, di codardia e di debolezza, senza però riflet­tere che, così agendo, non dava certo prova di lealtà verso il suo Pa­drone e, che, per ciò stesso, non avrebbe trovato favorevole ascolto presso la Sacra Cesarea e Reale Corte. Là si era infatti usi a ragionare in ter­mini secondo i quali la Famiglia imperiale non poteva e non doveva tollerare interventi di qualsiasi natura provenienti dall'esterno, compresi membri o (tanto peggio) ex-membri di governi su cui regnava (o aveva regnato) un membro della Famiglia stessa. Ora, è vero che l'intrigante ex-presidente del Consiglio di Stato toscano non aveva scritto all'Impera­tore in persona, bensì al ministro degli Esteri imperiale (e infatti la sua lettera non si trova nell'Archivio privato dei Sovrani a Praga, ma in quello della Cancelleria di Stato a Vienna): ma mi pare che questo non sia importante, poiché il Seratti aveva scritto comunque al Governo im­periale.
H Colloredo non gli rispose mai, ed è certo che, esattamente un mese dopo (il 28 luglio), il Seratti ripeteva la sua istanza a Vienna, cogliendo l'occasione per denunciare ancora una volta il suo nemico Man-
io Cfr. SAW, toc. ck.