Rassegna storica del Risorgimento

Storiografia. Filosofia. Secolo XVIII
anno <1994>   pagina <157>
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, Marc1 Aurelio, l'imperatore filosofo 157
fredini, accusandolo di manovre presso gli ambasciatori di Austria e di Inghilterra e presso gli stessi Sovrani napoletani, avvalendosi (della qual cosa sembrava particolarmente geloso) di tutti quelli che possono avere relazioni in Vienna ed in Inghilterra e aggiungendo altresì che il mar­chese giacobino avrebbe cercato di ottenere il perdono di questa Re­gina adducendo il motivo di non aver fatto in Toscana che il Maggior­domo maggiore, e che di tutta la condotta politica è debitore il Consiglio diretto da me .
Sono queste sue stesse parole che gli fanno perdere la calma e lo indignano al massimo, ma egli mostra anche di corninciare ad avere qual­che paura: Esso [Manfredini] averà qualche timido adulatore che non averà difficoltà di cuoprirlo, io averò tutta la Nazione e gli esteri, che mi renderanno giustizia. Non potrei dubitare che V.E. sentendone parlare sospendesse il suo giudizio, se pure non abbia dati da deciderlo in mio favore .12) Dunque, il Seratti era consapevole e certo di una sola cosa e cioè del suo dipendere totalmente dalle decisioni della Corte di Vienna e dei suoi ministri. Ancora un mese dopo (28 agosto) egli insisteva in­fatti sugli stessi toni col Colloredo, continuando la sua campagna contro il Manfredi ni, accusandolo ora di vantarsi senza mistero che questa ope­razione [cioè quella della propria espulsione dagli Stati imperiali] sia opera del Granduca, ad istigazione sua e dei suoi amici che sono costì presso il medesimo per riparare il di lui onore col sacrifizio del mio . Era ormai proprio guerra aperta, se mai c'era stata pace fra le differenti ali del gruppo dirigente toscano. E continuava il Seratti, nella stessa let­tera: So che Manf redini si dà una gran pena per far credere di non aver nulla fatto che col consenso del Consiglio di Stato. Io sono in grado di smentirlo francamente. Alcune volte in private sessioni otteneva o strap­pava l'assenso servile dei Consiglieri da esso creati; ma non citerà nep-pur uno dei suoi molti spropositi nei quali per viltà, per suggezione, per spavento, abbia convenuto Seratti . Questo equivaleva a formulare la ipotesi (certo non lontana dalla realtà, ma che poteva difficilmente essere avanzata con un minimo di dignità da un Presidente del Consiglio, e da lui accettata così, senza un'ombra di imbarazzo) di una specie di super-governo, direttamente guidato dal Maggiordomo di Corte, il che era poi come dire dal Granduca. Il Seratti, però, anche in questa occasione di­menticava (e non si sa se e quanto ne fosse consapevole) che anche il proprio Gabinetto altro non era, e non poteva non essere, che un grup­petto di servitori (più o meno fedeli) del Sovrano.
Ma questo relitto, sbandato e senza bussola, dell'Antico Regime per­sisteva nella sua arroganza, quando, sempre nella stessa lettera, diceva di avere ricevuto, doppo la liberazione della Toscana , da parte del Senato fiorentino e dei Comandanti delle brave truppe degli Insorgenti l'invito a recarsi d'urgenza a Firenze per provvedere agli affari , cioè
12> SAW, toc, cit.