Rassegna storica del Risorgimento
Storiografia. Filosofia. Secolo XVIII
anno
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1994
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pagina
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169
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Marc'Aurelio, l'imperatóre filosolo 169
Dopo aver preso atto del tono burocratico di questa lettera al fratello del Manfredini, nella quale l'imbarazzo per la confessata impotenza della Corte a fare qualcosa di più del semplice mantenimento degli stipendi era pari all'ammissione della assoluta lealtà del Manfredini verso l'amato Padrone, mi sembra opportuno ritornare alla umanissima e accorata lettera di quello e agli importanti quanto misteriosi accenni alla situazione nella Corte di Napoli. Dunque, secondo il Manfredini, Wyn-dham sarebbe caduto in disgrazia presso la Regina e presso l'ambasciatore Hamilton per aver brigato allo scopo di diventar ministro a Napoli. Ma questo è assai poco credibile, sia perché non risulta da alcuna altra fonte (e un fatto del genere non avrebbe potuto non lasciare traccia), e sia per altre ragioni, fra le quali il fatto che non dice chi Wyndham avrebbe dovuto sostituire: forse Giovanni Acton (e ciò pare alquanto improbabile, considerato il favore del quale questi continuava a godere presso l'aristocrazia napoletana e soprattutto presso la Regina); o forse il toscano Se-ratti, di cui abbiamo appena visto il nuovo prestigio che aveva saputo costruirsi nella medesima Corte, dopo essersi fabbricata l'immagine di suddito fedele non del Granduca, bensì del ben più importante Imperatore?
Quindi la cosa più probabile è che il povero Manfredini, un uomo che vomita sempre e che ammanca di tutto (e che non sapeva nemmeno dell'avviso nei suoi confronti di divieto di ingresso nei Paesi austriaci, come niente mostrava di sapere dei russi in Italia, che già, sotto la guida del bravo generale Suvarov, avevano battuto i francesi in piena Valle Padana) non fosse nemmeno a buona conoscenza degli intrighi internazionali fra Londra e Napoli, e tanto meno, dunque, di quelli segretissimi che avrebbero dovuto svolgersi a Palermo, in quel momento di così particolare emergenza, fra la ambiziosissima Regina, i due ambasciatori britannici (di cui uno peraltro, Wyndham, ormai ex, ma non per questo meno attivo) e il non citato dal Manfredini, ma pur fondamentale, ammiraglio Lord Nelson, per non parlare dell'altro importantissimo e anche lui non citato Acton, e per non parlare infine della enigmatica Lady Hamilton moglie dell'ambasciatore e amante deU'ammiraglio.
E allora, la mia opinione è che il povero Manfredini, così bruscamente liquidato dal suo amato Padrone e soprattutto dalla volontà suprema , cioè dal volere dell'assoluto capofamiglia degli Asburgo, l'Imperatore, fosse ormai un altro sopravvissuto, anzi ancor più di altri, che avevano saputo condurre i propri affari in modo forse più intelligente, ma certo anche più ambiguo e meno onesto (e qui mi riferisco non solo al Seratti, ma anche e soprattutto al Corsini e al Fossombroni).
D'altronde, anche l'ex-maggiordomo maggiore di Casa Lorena aveva avuto in passato i suoi momenti di ambiguità, quando per esempio, nel medesimo tempo in cui rivolgeva accorati e pressanti appelli al suo amico Thugut perché si degnasse di mandare qualche divisione di soldati in Toscana, pure non faceva nulla per dileguare le voci sul suo essere addi-