Rassegna storica del Risorgimento

Umberto Corsini. Commemorazioni. Comitato Trentino per la Stori
anno <1994>   pagina <255>
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Libri e periodici 255
pò* dappertutto, vale dunque a consegnarci una visione per ora definitiva del­l'esperienza rivoluzionaria nel sud d'Italia.
La prima delle relazioni, tenuta da Giovanni Aliberti su L'organizza­zione dello Stato nel Mezzogiorno napoleonico , insieme a quella di Raffaele Feola (Lo Stato amministrativo nel Regno di Napoli dall'età napoleonica alla Restaurazione), verte sul tema dell'impatto delle strutture amministrative bor­boniche con le direttive stabilite dai nuovi venuti. Per il primo la moderniz­zazione riguardò prevalentemente le istituzioni amministrative e finanziarie, senza intaccare il tessuto socio-economico, mentre il riformismo coinvolse anche importanti settori sociali, quali la scuola, le opere pubbliche, l'organizzazione del clero.
Come in tutti i periodi di transizione e di riequilibrio, lo Stato ammini-strativo attuato dai Napoleonidi, e sostanzialmente mantenuto fino al 1860, raggiunse un assetto moderno per l'organizzazione della società locale attra­verso la saldatura tra le nuove istituzioni e la borghesia provinciale: tutto ciò costituisce per Aliberti il carattere più rilevante ed evidente raggiunto nel Decennio. Non aver modificato la fisionomia burocratico-contadina della società provinciale, permettendo al tempo stesso il mantenimento di relazioni di potere tra istituzioni e corpo sociale, articolate in forme economiche promosse o co­munque tutelate dai ceti burocratici e governativi rappresenta, invece, il limite del rinnovamento stesso. La relazione si conclude in maniera propositiva con un interrogativo sulla ulteriore durata, in epoche successive, di queste caratte­ristiche di base.
Anche Feola parla di Stato amministrativo per definire la forma di go­verno raggiunta dopo il 1806 e realizzatasi a suo parere soprattutto nel biennio di Giuseppe Bonaparte, attraverso l'istituzione del Consiglio di Stato e, specialmente, della Corte dei Conti. Questa, infatti, rappresentava il tratto d'unione tra l'amministrazione attiva e ramministrazione contenziosa; anche dopo l'abolizione dell'altro, e fino ad i giorni nostri, è rimasta a testi­moniare la vitalità del dominio napoleonico a Napoli.
L'ampia rassegna storiografica di Anna Maria Rao su Giustizia e società nel Regno di Napoli alla fine del Settecento può considerarsi come la neces­saria premessa alle relazioni precedenti, incentrata com'è sull'analisi dell'ammi­nistrazione giudiziaria del Regno prima e poi su quanto ha operato in materia il movimento definito da Aliberti come riformismo.
Attraverso la figura del vescovo Serrao, giansenista prima e poi aderente alla Repubblica, Elvira Chiosi ( Andrea Serrao e la rivoluzione del 1799 in Basilicata) traccia un itinerario delle adesioni dei vari ceti provinciali alle idee rivoluzionarie, cui fa seguire un esame del quadro della democratizzazione, e conseguenti insorgenze, in Basilicata.
Gabriele De Rosa e Maria Aurora Tallarico si dedicano entrambi alla questione ecclesiastica, già variamente accennata o trattata dagli altri relatori, 2 primo nell'accezione più vasta della vita religiosa e l'altra nello specifico dei rapporti tra Stato e Chiesa nel Regno di Napoli durante il Decennio francese . Nel corso del Decennio la storia ecclesiastica del Regno subì una radicale trasformazione che, in parte preparata durante tutto l'arco del XVIII secolo, ricevette dalla diversa e più solida forza politica la possibilità di es­sere veramente innovatrice. Nell'ampio e circostanziato quadro delineato dal De Rosa assume rilievo la modificazione radicale del ruolo svolto dalla parroc­chia nella società rurale del Mezzogiorno, sul cui contesto depauperato venne a gravare anche la soppressione dei conventi. La religione popolare di contro non subì crisi, rivitalizzata anzi dalla persecuzione ed usata come strumento ideologico di massa per combattere militarmente la rivoluzione.
La Tallarico sposta il suo interesse sulla risposta della Chiesa alle nuove