Rassegna storica del Risorgimento

Umberto Corsini. Commemorazioni. Comitato Trentino per la Stori
anno <1994>   pagina <270>
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270 Libri e periodici
livello grossolano, nonostante la presenza di produzioni maggiormente innovative, quali tessuti leggeri, cioè fini, asciugamani ad imitazione del lino, tessuti lisci da biancheria, satin e tessuti damascati, stoffe operate ed una miriade di altre varietà. Nella tintoria e nella stamperia, viceversa, si era formato un nucleo consistente di aziende operanti su buoni livelli qualitativi per ricchezza di colorazione e finezza degli articoli lavorati. In generale, però, la specializza­zione merceologica delle imprese era debole, il che impediva di produrre me­glio e più a buon mercato. Proprio il cotonificio lombardo, infatti, insieme a quello della Campania, risentì maggiormente dell'applicazione delle tariffe doga­nali piemontesi di stampo liberista, tra l'altro ulteriormente ridotte nel 1860-61. Poiché l'Austria aveva adottato un sistema piuttosto protezionistico (anche se moderato dalla presenza di un esteso contrabbando), l'imponente ed improv­viso ingresso di merci estere rappresentò un duro colpo, aggravato, poi, dalle conseguenze della guerra civile americana, che causò un forte aumento del prezzo del cotone greggio. Se comune era il lamento per la pressione fiscale dello Stato, spesso ciascun imprenditore non faceva che chiedere protezione per gli artìcoli da lui prodotti. Vi era, dunque, una disorganicità di posizioni, che rifletteva il sottile contrasto tra filatori e tessitori e tra le imprese più avan­zate e quelle più arretrate. La convergenza di interessi tra industriali e proprie­tari fondiari consentì, nel 1887, l'avvio del pesante sistema protezionistico, ovviamente non solo cotoniero, che, con poche variazioni, caratterizzò la poli­tica doganale italiana fino alla prima guerra mondiale. Le richieste dei cotonieri, però, non ebbero termine. La fondazione, nel 1894, dell' Associazione fra Industriali cotonieri e Borsa Cotoni consentì di superare le iniziative auto­nome degli imprenditori lombardi, dal momento che il sodalizio raccoglieva adesioni su scala nazionale e rappresentava l'intera categoria. Uno dei punti oggetto di numerose polemiche fu il prelievo fiscale sulle imprese. Sebbene si limitasse in pratica all'imposta di ricchezza mòbile ed a quella sui fabbricati, tale carico fu ritenuto assolutamente insostenibile e provocò tra i cotonieri lombardi durissime reazioni, che arrivarono fino alla serrata. Tra le aspettative delle imprese vi era, poi, la continua domanda di tessuti per le uniformi mili­tari da parte dello Stato, impennatasi con lo scoppio della guerra in Europa. Alla fine del 1914, il Ministero della Guerra assegnò direttamente all'Associa­zione Cotoniera, perché la ripartisse tra i soci, mia commissione di circa due milioni di metri di tessuto, attuando così una procedura certo anomala, ma che finiva per riconoscere, sia il ruolo istituzionale del sodalizio milanese, sia il diritto del settore a contare sul contributo della domanda pubblica, spe­cialmente in un momento in cui la produzione stentava a trovare sbocchi convenienti in Italia ed all'estero. Eppure, nonostante i benefici che indubbia­mente anche le imprese lombarde ricavarono dalle ordinazioni delle forze armate o di enti pubblici, non si può sostenere che il mercato del settore dipendesse, in condizioni normali, dal valore e dalle variazioni della domanda pubblica. La stragrande maggioranza dei consumatori di tessuti era formata da privati e, anzi, più precisamente, da quei ceti popolari (contadini, piccoli artigiani, operai) che costituivano il grosso della popolazione nazionale. Non essendo rile­vante, specie nei primi decenni postunitari, la produzione di articoli di alta qualità, assorbiti da una clientela borghese, l'andamento delle vendite si dimo­strava estremamente sensibile alle variazioni del livello di vita delle classi popolari. Si trattava, dunque, di un mercato di massa condizionato dai bassi redditi dei consumatori. Questo limite fu superato, dopo l'Unità, con la forma­zione di un vasto mercato nazionale che assorbì buona parte dell'offerta, anche se non in misura tale da compensare la crescente potenzialità produttiva e soprattutto a ritmi assai più lenti di quanto gli industriali avrebbero desiderato. Fu proprio per questo che l'orientamento estero del cotonificio lombardo ed