Rassegna storica del Risorgimento

Livorno. Storiografia. Secolo XIX
anno <1994>   pagina <294>
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294 Francesco Ghidetti
trando nell'intimità della famiglia. Nient'altro sappiamo, allo stato at­tuale degli studi, di questi tre ragazzi, ma la loro vicenda è certo esemplare,
A questo punto, occorre affrontare brevemente un altro problema. Come mai Livorno aveva questa capacità di attrazione per tanti com­battenti per la libertà ? Il problema non è di facile soluzione e po­trebbe portare a diagnosi superficiali. Certamente, negli anni Venti in Toscana si respira un clima migliore, dal punto di vista politico, ri­spetto agli altri Stati italiani. Le autorità granducali, seppur a capo di un regime reazionario, non arrivano agli eccessi degli Stati vicini. Diciamo che la Toscana degli anni Venti è, in certo qua! modo, per l'acco­glienza agli esuli, paragonabile al Piemonte degli anni Cinquanta. Ma non si tratta di mitezza o bontà, bensì di un preciso calcolo politico e, forse, anche di un sentimento o meglio di una volontà di autonomia dall'influenza austriaca cui la casata lorenese è intimamente legata da vin­coli familiari. La spiegazione più adatta di questo atteggiamento gran­ducale è del Montanelli:
Più volte abbiamo sentito ripetere che il governo toscano era savio, libe­rale, paterno, e fare meraviglie che ne fossimo soddisfatti sino a mettere in rischio con inconsuete esigenze tanta beatitudine. Questo mito della liberale saviezza del governo toscano nacque da apparenze che poterono indurre in errore gli osservatori superficiali: e contribuirono a propagarlo in Europa i tisici rico­noscenti che in Toscana recuperavano la salute, i diplomatici disoccupati che vi potevano dare il loro tempo allo spasso e alla galanteria, le zingare senti­mentali, e i letterati giramondi soliti attingere la loro erudizione sull'Italia in mezzo alle feste da ballo, e soprattutto nelle sale dei forestieri. Per giudicare del governo toscano non bastava ammirare le ubertose campagne della valle dell'Arno, e festoni delle viti pendenti lungo le vie, la ricchezza e maestà dei monumenti, il lusso dei fiori e dei canti, i miti e festivi costumi, attribuendo a sapienza politica gli effetti del temperato clima, dell'antica colossale grandezza, del fino e poetico ingegno degli abitanti, della prepotente tradizione repubbli­cana subita dal Principato. Bisognava addentrarsi sotto a questa superficie, stu­diare le istituzioni, vedere se il governo svolgesse la tradizionale fecondità d'un paese che fu culla delle arti, e centro d'italica civiltà. E chiunque avesse coscen-ziosamente intrapreso questo esame si sarebbe di leggieri persuaso che se la Toscana era esente dai flagelli d'altri Stati italiani, se non aveva soldatesca stra­niera, come Lombardia, monopolio clericale come Roma, gesuitismo e aristocrazia come Piemonte e Napoli, racchiudeva germi d'infermità morale tutti suoi, fecon­dati dal reggimento civile in lei succeduto alla dominazione francese .
E ancora, più avanti:
Fossombroni aveva capito benone che questa intimidazione vaga troncava i nervi all'opposizione, meglio che le sevizie tiranniche, le quali addensano negli animi le ire che fanno le tremende esplosioni: e annientare le libertà che illu­minano, invigoriscono e nobilitano un popolo, sentiva potere scegliere impu­nemente il freno a quelle che lo ingrassano, lo divertono, lo corrompono. Non