Rassegna storica del Risorgimento

Commemorazioni. Matteo Fantasia
anno <1994>   pagina <537>
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Libri e periodici 537
ANNA e GIUSEPPE CLEMENTE, La soppressione degli ordini monastici in Capi­tanata nel decennio francese (1806-18U), pres. di Raffaele Colapietra; Bari, Società di Storia Patria per la Puglia, Studi e Ricerche, X, 1993, in 8, pp. 325. L. 60.000.
La ricerca dei due Autori si colloca in quel particolare contesto di studi che si occupano dei cambiamenti introdotti in Italia col passaggio dal vecchio al nuovo regime, studi incrementati dalla ricorrenza del bicentenario della Ri­voluzione Francese. Come è noto, a effettuare la virata nel Sud non fu tanto la Repubblica del 1799 quanto il Decennio francese, che anche in campo eccle­siastico lasciò tracce molto profonde, soprattutto per quanto riguarda i con­venti, dalla cui soppressione i governi francesi intendevano far derivare nume­rosi e consistenti benefici alla collettività.
H problema di fondo ha già richiamato l'attenzione di più di uno stu­dioso. Rimane da chiarire la dinamica che esso ha avuto nelle singole province storiche, ognuna delle quali ha conservato nei propri archivi un materiale prezioso da sfruttare. Si tratta propriamente di affrontare la cosa dal di dentro, come osserva giustamente Colapietra nella prefazione al libro, una prospettiva che era mancata quando si era soliti partire dalla prospettiva op­posta: quella delle riforme statali, nel qual caso il fenomeno delle soppres­sioni era visto piuttosto dall'esterno .
È questa la prospettiva in cui si collocano i due Clemente nello studio della Capitanata e della documentazione tuttora conservata nell'Archivio di Stato di Foggia, anche se essi, prima di addentrarsi nell'analisi dei casi speci­fici cui sono interessati, si preoccupano di fornire un quadro del sud in ge­nere e della provincia in specie in cui l'intervento eversivo si colloca, un quadro le cui tinte non si scostano molto da quello delle altre province sto­riche, con i loro vescovi (sempre più ridotti di numero), i loro vicari capi­tolari (privi di vera autorità, anche se non sempre insignificanti), con i loro intendenti (veri assi portanti del governo della provincia, anche in campo ecclesiastico). Quanto alle complesse operazioni cui si ridusse la soppressione studiata dal libro, gli Autori hanno dovuto confrontare continuamente il ritmo che questa aveva a Napoli, centro del Regno, col riflesso che aveva in pro­vincia, quando l'aveva. Non sempre, infatti, e non tutte le iniziative in ma­teria eversiva, o ad esse connesse, avevano riscontro o ripercussione nelle sin­gole province, che per esempio non furono molto interessate agli sfoltimenti ordinati dalla legge semiclandestina del 14 agosto 1806. Le cose cambiano con la legge del 13 febbraio 1807 riguardante i conventi della famiglia benedet­tina, una misura che fa chiudere i primi conventi anche in Capitanata (per esempio quelli di San Severo, Guglionesi, Lucerà, Manfredonia ecc.). L'anno seguente sarà la volta di altri conventi, questa volta fuori dalla cerchia dei benedettini, per esempio quelli domenicani di Foggia e Cerignola, chiusi con decreti particolari.
La grossa falcidie avrà luogo con il decreto sui conventi possidenti del 7 agosto 1809, attuato nei mesi seguenti, e con quello, emanato nella stessa data, ma eseguito a partire dal 1811, concernente i rami mendicanti dei francescani, i conventi cioè che vivevano quasi esclusivamente di elemosine. In quest'ultimo caso la scelta prevista dai principi suggeriti da Zurlo a Murat potè talvolta essere cambiata rispetto ai programmi prestabiliti a Napoli. Si ebbero quindi conventi destinati alla chiusura che vennero salvati e conventi destinati alla sopravvivenza che invece vennero chiusi. Si giunse a questo in seguito a pressioni e a interessi non sempre chiari ed espliciti, ancora in parte da approfondire. In molti casi però (per esempio in quello del con­vento alcantarino di Foggia) la revisione venne a riequilibrare decisioni al-