Rassegna storica del Risorgimento

Italia. Liguria. Storiografia. Secolo XIX
anno <1995>   pagina <54>
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Bianca Montale
statale la modernità stava semmai dalla parte del Piemonte il quale nel corso del Settecento aveva saputo dotarsi di strumenti legislativi e ammi­nistrativi ben più efficienti rispetto a quelli della vecchia repubblica. Più oltre si afferma: un più generale innesto dell'amministrazione sa­bauda in Liguria non solo come strutture ma anche come uomini sarebbe stato proficuo .
La colpa dell'isolamento, della stagnazione, della mancanza di inizia­tiva è tutto della miope classe dirigente locale; Torino ha avuto unico interlocutore quel patriziato genovese che era il più alieno dai modelli accentrati e burocratici del cosiddetto Stato moderno, e se ne stava chiuso nel proprio rancore per la perdita dell'antico ruolo politico, rifiutando di conquistarsene uno nuovo nella più ampia compagine statale del regno sardo . Un rifiuto viscerale, che tiene fuori dai grandi impieghi e dal-l'alta magistratura. Vincenzo Ricci sostiene invece, per esperienza perso­nale, che proprio motivi politici sono alla base della mancata carriera di taluni genovesi. Si tratta comunque di un'opinione di parte. Per As-sereto la monarchia sabauda ha dato semmai attenzione eccessiva a Genova, quale seconda capitale, spesso a scapito dei centri minori. H Ducato di Genova, territorialmente assai vasto, indica questa antica supremazia, per cui la parola ligure è usata raramente, ad indicare una preminenza del capoluogo. Rimprovera alla monarchia di non aver scelto interlocutori diversi per gli impieghi statali, come borghesi colti e non nobili. La divisione in due classi del corpo decurionale scontenta, per opposti motivi, un po' tutti, e provoca assenteismo. Almeno sino all'ini­zio degli anni '40 ogni ristagno ed ogni problema insoluto è addebitato al Piemonte da parte della storiografia tradizionale: Genova maltrattata e scontenta, oltre che repubblicana, sarebbe Vhumus ideale per Mazzini. Assereto avanza un'ipotesi press'a poco opposta rispetto alle opinioni dei genovesi di allora: di fronte ad un'economia arcaica nelle strutture ma­teriali e mentali, l'amministrazione piemontese agì più forse come stimolo che come freno. Di fronte ad un'ostilità lamentosa diffusa in tutti gli strati sodali il governo piemontese attua una violenza tutto sommato salutare : si crea una marina nazionale rispettata, un porto in crescita che ha alle spalle uno Stato più vasto, e non è un magazzino tradizio­nale come Livorno; trattati commerciali ed opere pubbliche favoriscono i genovesi quanto i piemontesi. Torino e Genova hanno comunque due concezioni conflittuali di politica, economia e costume.
Per quanto riguarda Je vicende politiche del '21 e del '33, il go­verno subalpino sarebbe stato abbastanza indulgente: giudizio del tutto accettabile nel primo caso, ma che desta qualche riserva per il secondo. Su Genova incapace di produrre cultura, almeno a certi, livelli si può senz'altro consentire. Il grigiore intellettuale emerge tanto dalla Gazzetta di Genova quanto dalla limitatezza e dal municipalismo di al­cune opere emblematiche. Il fatto che padre Spotorno con la sua solida