Rassegna storica del Risorgimento

Italia. Liguria. Storiografia. Secolo XIX
anno <1995>   pagina <55>
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Storia della Liguria 55
erudizione sia il maggior esponente nel campo degli intellettuali locali dà la misura del livello non eccelso degli studi. Sul clero, definito global­mente reazionario ad eccezione degli Scolopij. tutto rimane da veri­ficare per la mancanza di studi in questo campo negli anni anteriori al 48: se la figura di Lambraschini è nota sufficientemente, la qualifica di conservatore attribuita a Tadini, arcivescovo colto con aperture gio-bertiane non sembra sino ad oggi adeguatamente documentata.
Un cenno a Mazzini in poche righe: da Genova scaturirono le utopie e le tensioni morali del movimento mazziniano, ma il regno di Sardegna prima e quello d'Italia poi ne trassero ben pochi intellettuali e uomini di governo degni di nota .
Confortevole invece il quadro offerto da Torino, che gode di una classe civile di imprenditori dinamici e di funzionari efficienti .
A metà degli anni '40 c'è una crescita, una fine dell'isolamento, una nobiltà più attiva in asili, scuole, opere pie, amministrazione, commercio. Ma proprio nel '46, anno importante per la riunione degli scienziati, in cui la città tende a dare la migliore immagine di sé, emerge la medio­crità degli uomini e della cultura. La Descrizione di Genova e del Ge-novesato che vuol essere un quadro generale della situazione genovese, dall'economia alle istituzioni alla cultura è piena di manchevolezze, me­diocre, piatta, ampollosa e miope , con una visione strettamente citta­dina, priva di moderne statistiche e di basso profilo. Le accuse dello studioso, certamente fondate, sono volte ad ogni aspetto della vita geno­vese e dell'attività della classe dirigente: abulia, conservatorismo econo­mico, speculazioni di corto respiro, fuga a Parigi e disimpegno di un finanziere di grande rilievo come Raffaele De Ferrari, che pur figu­rando tra i promotori nutre scarsa fiducia nei progetti locali. Anche quando non mancano segni di risveglio esiste sempre una maggioranza silenziosa apatica, assenteista, ottusamente conservatrice . Toni fortemente polemici, forse eccessivi nella forma, ha Assereto nei confronti della tri­nità Galombo-Balilla-Andrea Doria. Incapaci di affermarsi nel presente, i genovesi si ricollegano alle vere o pretese glorie passate: ai miti di Co­lombo e di Balilla nati entrambi da una cultura retorica e provinciale, responsabile anche di un altro misfatto nazionale e duraturo: l'inno Fratelli d'Italia uscito dalla penna di Goffredo Mameli e di Michele Novaro [meglio: dalla composizione musicale del Novaro], i quali ave­vano almeno l'attenuante dell'età giovanile . A questo punto la provo­cazione mi sembra pesante, e da genovese che ha un evidente vizio d'origine sono tenuta ad una difesa d'ufficio. Colombo è costretto per seguire la sua strada ad esulare dalla città natale (e questo rafforza l'ac­cusa di un ambiente difficile) ma non credo sia soltanto un mito; Ba­lilla, di cui con certezza si sa poco o nulla (ci si può rifare alle pagine di Franco Venturi) rappresenta comunque la sete di indipendenza dei popolani genovesi insorti. Per quanto riguarda l'inno di Mameli,