Rassegna storica del Risorgimento

Italia. Liguria. Storiografia. Secolo XIX
anno <1995>   pagina <57>
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. Storia della Liguria 57
è una fede, una religione laica che sta alla base dell'azione politica e sociale.
Nel decennio 184 9-'59 il moderatismo cavouriano, di cui sono espo­nenti i favoriti dalla politica economica del conte, gli azionisti delle compagnie sovvenzionate e delle industrie protette e alcuni arnministra-tori comunali rimane in minoranza per quanto riguarda le elezioni poli­tiche, ed ottiene il potere solo in municipio. L'opposizione di ogni colore, prima miinicipalista che antigovernativa, diffida di Torino, centro di po­tere ostile. Lo attestano non pochi libelli intrisi di vittimismo, pieni di miopia e ottusità. Il durissimo giudizio di Cavour, che parla di medio-crité desespérante riferendosi ad una classe dirigente moderata che non ha fornito persone eminenti in alcun campo, è noto e fondato.
Il saggio fa cenno, in questa fase, al serio sforzo di rinnovamento ed alla politica di conciliazione e di moderazione del nuovo arcivescovo, monsignor Charvaz, ed al problema dell'emigrazione, il cui inserimento nel tessuto locale è meno idillico di quanto fatto apparire da alcuni studi ormai superati.
Col '59-'60 c'è un avvicinamento di Genova all'iniziativa sabauda, ma non nei quadri della Società Nazionale.
Per concludere, la viscerale avversione dei genovesi al Piemonte ha un prezzo: diffidenza su entrambi i versanti e isolamento. Genova rh mane nel tempo una città che non unisce allo sviluppo un'adeguata classe politica capace di giocare un ruolo proprio nella scacchiera nazio­nale, che non riesce a sanare i propri squilibri con tanta successiva retorica, minata da campanilismi e timori del rischio. E, attorno, c'è una regione dilaniata da contrasti e da incapacità di scelte dinamiche.
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Da questa sintesi originale, documentata e stimolante, il processo a Genova nel Risorgimento sembra approdare ad una condanna senza ap­pello. Un giudizio negativo che si può condividere in linea di massima per quello che riguarda un'aristocrazia spesso chiusa e statica, una classe politica di mediocre profilo, un'elite imprenditoriale e commerciale priva di audacie, una cultura provinciale. In questa direzione il discorso è serio, anche se non mancano le eccezioni: Cavour stesso apprezza talora, ad esempio, Cesare Cabella.
Ma questa storia, pur valida, non è tutta la storia di Genova. Chi genovese è, con tutti i difetti che questo comporta, conosce il proprio carattere difficile. Lo definisce Eugenio Montale: un misto di orgo­glio, di timidezza, di diffidenza, di pratica quotidiana del mugugnu, un certo complesso di inferiorità bilanciato dal senso di una specifica supe-