Rassegna storica del Risorgimento

Italia. Liguria. Storiografia. Secolo XIX
anno <1995>   pagina <62>
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Libri e periodici
della stessa Germania, è percorsa da una forte tensione morale che ispira l'autore, sacerdote cattolico di nazionalità siriana, in favore del suo popolo e di quell'area geografica del Vicino Oriente le cui annose questioni risalgono all'epoca da egli studiata, convinto com'è che si l'Histoire ne devait pas aboutir à créer une semence de renouveau et de dépassement et à appeler à une action de générosité et de coexistence pacifique, mieux vaudrait l'ignorer (II, t. 1, p. 15).
CARLO M. FIORENTINO
RAFFAELE DELLA VECCHIA, La questione d'Oriente nei documenti diplomatici del Regno delle Due Sicilie; Napoli, Luciano Editore, 1993, in 16, pp. 153. S.p.
Il saggio preciso e puntuale di Raffaele Della Vecchia, basato su un'ap-profondita conoscenza dell'argomento e delle fonti d'archivio napoletane, ci permette di constatare come alla diplomazia delle Due Sicilie, sin dal primo manifestarsi, nel 1853, della vertenza sui Luoghi Santi tra Russia ed Impero Ottomano, non sia sfuggito il progressivo mutamento dell'assetto politico eu­ropeo, in occasione ed in conseguenza della guerra di Crimea.
Dopo un breve capitolo introduttivo sulla questione d'Oriente , incen­trato sulla guerra per l'indipendenza greca, osservata soprattutto attraverso i rapporti dei diplomatici napoletani provenienti da Costantinopoli e da Ales­sandria d'Egitto, l'autore esamina l'insorgere della vertenza sui Luoghi Santi provocata dal voler ergersi della Russia zarista a protettrice degli ortodossi sudditi della Sublime Porta.
I rapporti giungono ora, oltre che da Costantinopoli, anche dalle amba­sciate e dalle legazioni napoletane delle capitali degli Stati europei man mano coinvolti nella vertenza e poi, direttamente o indirettamente, nel conflitto, da Pietroburgo, da Parigi, da Londra, da Vienna. Sono rapporti lucidi, puntuali, che vanno ben al di là della semplice segnalazione dei fatti e degli eventi; chiariscono le cause e, spesso, anticipano gli effetti. La guerra di Crimea è giustamente vista come la definitiva condanna dell'Europa plasmata dal Con­gresso di Vienna, che il '48 ha scosso fino alle fondamenta ma che non è riuscito a modificare.
Sin dall'inizio sono intuite le conseguenze del conflitto ed ai diplomatici fa eco dalla Sicilia tallone d'Achille della monarchia borbonica dov'è insediato, come luogotenente generale del re, il generale Carlo Filangieri: I novatori, i mazziniani, i federalisti e tutta la triste genia che aspira a muta­zioni di Stato, fanno assegnamento sulla guerra e vanno sussurrando che la Francia e l'Inghilterra faran leva in una guerra colle Potenze del Nord col-l'elemento rivoluzionario, e si aspettan quindi da un momento all'altro di ve­der l'Italia in combustione .
La partecipazione piemontese alla guerra di Crimea è esattamente valu­tata dai diplomatici borbonici per le sue ripercussioni ed il Congresso di Pa­rigi è seguito con tutta l'attenzione che merita, specie quando è all'ordine del giorno la questione italiana e si chiede al governo napoletano un'amnistia per i condannati ed i detenuti politici (seduta dell'8 aprile 1856).
Ma precisione e tempestività sono inutili: se manca la capacità politica di adattarsi al mutamento delle circostanze, la diplomazia può soltanto trasmet­tere informazioni, notizie, pareri, suggerimenti, non può sostituirsi al governo e l'emergere del Piemonte e l'ulteriore allontanamento di Londra e di Parigi