Rassegna storica del Risorgimento

Italia. Storiografia. Secolo XIX. Emilia Morelli
anno <1995>   pagina <545>
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E. Morelli e il decennio preunitario 545
attuali. Sono i moderati che fanno proprie indipendenza ed unificazione. Si attua un accordo non sul piano delle idee, ma su quello dell'azione che deve avere come premessa il concorso di forze diverse; si consente, sia pure con molte cautele l'inquadramento dei volontari: il colloquio Ca­vour-Garibaldi dimostra che ora non si può fare a meno della rivoluzione. Anche se alcuni democratici non si fidano del tutto di Cavour, si ren­dono conto che la scelta è obbligata: Bertani riafferma a Mazzini all'ini­zio del '59 che rimane fermo nelle sue idee, ma che per cambiare la situazione non bisogna ripetere gli errori passati. Le vittorie in Lombar­dia che suscitano speranze ed entusiasmi sono solo l'inizio che non lascia prevedere gli sviluppi futuri così lontani dai desideri di Napoleone: Era il lato nazionale dell'impresa quello che doveva sconvolgere il piano di spartizione francese della penisola.
Poiché un discorso complessivo non può prescindere dalle diverse realtà dei vari Stati, la Morelli non trascura precisi riferimenti alle si­tuazioni locali: la frattura appare più evidente tra nord e sud, dove non esiste una Società Nazionale che ha preparato un clima e una classe diri­gente alternativa. Per i romani è facile attendere; a Modena e in Roma­gna il popolo è contro il governo; a Parma Luisa Maria è autonoma, quindi isolata; Ricasoli non ama l'alleanza con la sinistra, ma è innanzi tutto unitario e saprà convivere con Dolfi. L'armistizio di Villafranca, improvviso, sembra dar ragione a Mazzini che l'aveva previsto; la situa­zione è seria soprattutto nel gioco diplomatico internazionale, in cui si prospettano nuovi equilibri. Ma proprio in questa fase delicatissima, con il ritiro di Cavour e il re garante della situazione, le forze democratiche e liberali, sostanzialmente unite, si rivelano invincibili, e non permettono quella restaurazione che è prevista dalla pace di Zurigo.
I governi provvisori, la Lega, poi Fanti e Garibaldi guardano a To­rino e obbediscono al re; Cavour ritorna rafforzato poi dal consenso degli elettori e riesce tra molte difficoltà a portare a compimento sino ai plebisciti il vasto impegno su piano internazionale ed interno che ap­proda alle annessioni. Napoleone per Nizza e Savoia deve accettare una situazione ormai irreversibile. Alcune figure emergono dopo Villafranca per il peso e la qualità di un'azione politica e legislativa che pone le premesse all'unione al Piemonte: Farini e Ricasoli riescono a creare, uni­tamente a molti altri che concorrono pur da posizioni diverse a realizzare il progetto unitario, le condizioni perché il passaggio dal vecchio al nuovo avvenga senza scosse e con la più larga convergenza possibile. Tra i demo­cratici figura centrale rimane Garibaldi, bandiera e non cervello della sinistra, che assume atteggiamenti talora discutibili ciò avviene allor­ché è coinvolto in manovre anticavouriane di bassa lega e lasciata la Società Nazionale rimane solidamente ancorato alla convinzione che non si possa procedere oltre verso il compimento dell'unità se non con Vit­torio Emanuele. I democratici che nelle scelte di azione si distaccano da Mazzini hanno come uomini guida Bertani e Crispi; pensano a riaprire