Rassegna storica del Risorgimento

Italia. Roma. Questione sociale. Secoli XVIII-XIX
anno <1996>   pagina <451>
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Assistenza e beneficenza a Roma - La mendicità 451
di sovvenzione in favore di quelle manifatture private che avessero accet­tato di impiegare la forza lavoro dei mendicanti.40 Una commissione pre­sieduta dal Rivarola esaminò i progetti che si differenziavano proprio sul ruolo che lo Stato avrebbe dovuto esaminare. Nel gennaio del 1816 il Pontefice poteva promulgare il Piano dell'Istituto Generale di Carità che riorganizzava tutta la materia e costituiva un nuovo organismo: il Pio Istituto Generale di Carità.423
Nel Piano sono contenute le solite osservazioni sui mendicanti forastieri , da espellere al più presto dalla città rimandandoli con foglio di via e sbrigativa procedura di polizia ai loro paesi di origine. I po­veri della città sono classificati in modo simile a quanto avevano fatto i francesi, in poveri assoluti , da assistere completamente a domicilio, in poveri relativi , in grado di lavorare parzialmente, infine i poveri volontari da rieducare all'operosità mediante l'opera di un Commissa­rio de' provvedimenti che aveva ampia delega sui modi da usare per convincere anche i più riottosi.433 Il Piano prevedeva inoltre l'aboli­zione della limosina manuale . Per evitare che fossero fatte offerte in denaro ai questuanti più petulanti, sarebbe stato compilato un elenco dei sovventori che, mensilmente, sarebbero stati visitati da un esattore che, per conto dello Stato, avrebbe riscosso gli oboli da impiegare per le opere di carità. Le elemosine solitamente largite dai fedeli in occa­sione di cerimonie come battesimi o matrimoni dovevano invece essere versate direttamente al parroco che avrebbe provveduto a inviarle al Pio Istituto Generale di Carità. Appare evidente l'intento delle autorità pon­tificie di evitare la quotidiana insolenza degli accattoni eliminando ogni loro possibile espediente per estorcere la carità, tentando di con­trollare e centralizzare le elargizioni dei fedeli. Alcuni dei provvedimenti previsti dall'atto di Pio VII non erano privi di buon senso e paiono aver seguito le linee generali di uno dei piani cui abbiamo accennato: In una città come Roma distinta per tante grandissime Istituzioni di carità [...] sarebbero del tutto inutili li Reclusori generali che sono un'enorme spesa [...] il Pio Istituto terrà per prima base [...] di non formar [ne] mai, [...] ma profittando di tutti gli ospedali e di tutte le case di ricovero già esistenti [vi] collocherà gl'infermi, [...] li vecchi e le vecchie [...] li fanciulli e le fanciulle orfani .44) A questa enuncia­zione seguiva un'altra che, nei fatti, decentrava la direzione delle risorse finanziarie: [il Pio Istituto non vuole] possedere mai fondi stabili, al
*l) ASR, Camerale III, b. 2077. A S.E. cardinal Consalvi Segretario di Stato di 5. S. Pio VII. Sulla mendicità.
42) Piano dell'Istituto generale della carità e sua appendice, opuscolo a stampa, Roma, 1816, tip. Vincenzo Poggioli stampatore Camerale.
43) Ivi, p. 6.
44) Ivi, p. 9.