Rassegna storica del Risorgimento

Italia. Sidney Sonnino. Secoli XIX-XX
anno <1996>   pagina <514>
immagine non disponibile

514 Libri e periodici
di questa impostazione furono soprattutto i governi del Regno delle Due Sicilie e dello Stato Pontificio. Ritenendo che una rivoluzione industriale non fosse auspicabile per i guasti di ordine materiale e morale che avrebbe causato alla vita delle classi subalterne, essi attuarono un disegno autarchico. Una simile impostazione, tuttavia, non era a lungo sostenibile, poiché le scelte economiche di tipo mercantilistico e proibitivo si rivelavano inconciliabili con la garanzia di rendite elevate richiesta dai proprietari terrieri.
Crescita demografica, aumento della produzione agricola, industrializzazione, mutamento in senso individualistico dei rapporti di produzione e degli assetti proprietari furono le sfide lanciate dal modello capitalistico di organizzazione economica e sociale, cui dovettero rispondere gli Stati italiani pre-unitari. Lo fecero con ima certa efficacia a giudizio di Pescosolido e tuttavia man­carono l'appuntamento decisivo: quello dello sviluppo industriale. Soltanto uno Stato unitario e la creazione di un mercato nazionale potevano consentire l'affer­mazione nel nostro paese della modernizzazione capitalistica. Questo elemento viene ribadito da Pescosolido, il quale però aggiunge che esso non era consa­pevolmente sentito, neppure a livello di élites. Il Risorgimento costituisce, anzi, un tipico esempio di processo storico di natura eminentemente politica che influenzò in modo decisivo anche l'economia del territorio in cui ebbe luogo (p. 21).
Nel saggio Società, istituzioni e ceti dirigenti, Marco Meriggi sostiene che due furono i profondi cambiamenti provocati in Italia dalla dominazione napo­leonica: il livellamento giuridico e la creazione di un corpo di funzionari statali con caratteristiche e mentalità proprie. La fine della giurisdizione cetuale cioè della prerogativa nobiliare di esercitare diritto ed amministrazione si unì al sorgere di una moltitudine di uffici e di impiegati statali. La monarchia ammi­nistrativa bonapartista aveva uno dei suoi pilastri, infatti, nel corpo di pubblici funzionari di carriera e di nomina governativa definiti da Meriggi militanti dello Stato burocratico (p. 123). L'autore ricorda che in nessuno degli Stati restaurati dopo il 1815, i governanti rinunciarono al modello amministrativo impiantato dai Francesi. Lo stesso tentativo di Vittorio Emanuele I di Savoia di resuscitare integralmente l'Antico Regime si rivelò un'eccezione di breve durata, sicché Età napoleonica e Restaurazione non sono separati, nel campo essenziale dell'amministrazione, da una profonda frattura. La monarchia amministrativa, in Italia come nel resto d'Europa, anche dopo il Congresso di Vienna, era uno Stato di funzionari di professione, con una particolare attitudine mentale, pronti allo spostamento da una sede all'altra, alla rescissione dei legami sentimentali e materiali con i luoghi d'origine. Se durante la Restaurazione non mutò, dun­que, il modello, ci fu però un forte rallentamento nel processo di imborghe­simento degli apparati pubblici. In ogni caso tale rallentamento non oltrepassò gli anni Quaranta, quindi già prima dell'Unificazione, in tutti gli Stati della penisola, la carriera nella pubblica amministrazione era ormai praticabile solo grazie ad un preciso iter formativo (la laurea in legge), mentre si avviavano al tramonto quei privilegi che avevano premiato le aristocrazie legittimiste nei primi anni della Restaurazione.
Nello studio su Ideologie e movimenti politici Antonino De Francesco tende a comporre un quadro mosso e articolato, non riconducibile alla solita biparti­zione democratici/liberali con l'annessa dicotomia repubblica/monarchia costitu­zionale. Se, indubbiamente, al ventennio 1796-1815 devono farsi risalire la diffu­sione dei nuovi ideali e progetti istituzionali, è merito di De Francesco aver dato spazio anche a figure e filoni trascurati dalla storiografia risorgimentista soprattutto nelle opere di sintesi. Ci riferiamo, in particolare, alle pagine dedi­cate al pensiero legittimista. Benché la corrente reazionaria rimanesse, a livello di élites, nettamente minoritaria (si pensi alle disavventure del principe di Canosa e di Monaldo Leopardi o alla emarginazione di Solaro della Margherita), essa