Rassegna storica del Risorgimento
Italia. Sidney Sonnino. Secoli XIX-XX
anno
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1996
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pagina
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517
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Libri e periodici
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fondimento, al di là del moltissimo che già si conosce in proposito e che, all'ombra sovrana di Schiller e Fichte (Goethe è defilato de amìcìtìa, ed anche questo tasto sarebbe stato da battere, senza limitarsi all'enunciazione) accomuna Hegel, Schelling, Schlegel da un lato, Novalis e Hoelderlin dall'altro, ai quali non sarebbe stato forse male affiancare i musicisti, che anch'essi dal pietismo evolvono alla filantropia massonica ed alla fratellanza rivoluzionaria, senza che ci sia bisogno, crediamo, di fare i nomi.
L'Italia, ahimé, è del tutto assente in una prospettiva del genere, a parte qualche figurina metastasiana e goldoniana, e la consueta nobile irrealtà utopistica dell'Alfieri della Virtà sconosciuta: e mi sembra strano che dal Caffè al Conciliatore attraverso Foscolo non si sia riusciti a trar fuori nulla in ambito di rapporto amicale più o meno intensamente vissuto o programmaticamente teorizzato.
Ho fatto questi nomi perché, assenti gli storici, l'onere di affrontare il Sette-Ottocento italiano è stato assunto in modo esclusivo dai letterati: ma non mi sembra proprio che si possa dire che costoro, studiosi egregi e per di più ottimi amici di chi scrive, si siano in proposito, come si suol dire, sprecati.
Mario Scotti, che ha tenuto la bella relazione introduttiva, avendo dovuto esordire con Achille e Patroclo, non ha potuto spingersi che fino all'Alberti, con qualche puntata illuminante su Vico e Croce che, anche qui, avrebbe meritato qualche bagliore ulteriore.
Michele Cataudella, il cui tema era formalmente il più vicino al nostro auspicio, si è limitato in sostanza ad una schedatura non molto significativa, ancorché suscettibile d'infiniti sviluppi, non tanto magari intorno alla canonica coppia Pellico-Maroncelli quanto vXVabsence manzoniana che richiama quella di Goethe (ma il legame con Rosmini? e il giovane Bonghi quale mediatore?) ed a certe relazioni che attendono ancora di essere indagate a dovere proprio sotto il profilo della philia, da un irregolare per definizione come Tommaseo ai fratelli Boito che introducono in un mondo della scapigliatura dove quel profilo si direbbe suscettibile di risultati notevolissimi, attraverso le coppie Guerrazzi-Bini, Berchet-Arconati, Nievo-Fusinato, che Cataudella enumera ma che esigerebbero sfumature e inquadramenti ben differenziati (a sé direi di mantenere Leopardi, e così pure il ruolo particolarissimo di mediatore proprio di Gino Capponi, ed a parte casi che vedrei al limite del subalterno e del patologico come quelli di Grossi e di Giusti).
Altri due distintissimi italianisti intervengono al convegno, Riccardo Scrivano per spaziare da Cavalcanti a D'Annunzio (anche qui al profano sia consentito manifestare sorpresa perché fra tutti gli episodi danteschi manchi sempre e soltanto quello di Forese Donati, che balza alla memoria come quello esemplare di un'amicizia umanissima ombrosa e pietosa) e Michele Dell'Aquila per un breve intervento sulla fallita ricerca rinascimentale di un nuovo rapporto del letterato col principe (ma che cosa, per esempio, in chiave di pbilia, si potrebbe dire per Massari con Cavour?).
Restano dunque conclusivamente altri interventi che, sempre da un punto di vista in prevalenza filosofico, segnalano nuovi stimolanti sentieri di lettura per la civiltà ottocentesca al di qua e specialmente al di là delle Alpi: tra di essi forse in specifico modo Giorgio Penzo col suo prediletto ma sempre sconcertante e folgorante Max Stirner, mentre l'involucro nicdano che Dario Barbieri costruisce intorno a Dino Campana, interessantissimo per l'intendimento dell'inesauribile magma antigiolittiano dei primi del secolo, è forse, a questi chiari di luna, un po' forzato e pericoloso per quanto attiene al distruttore di dannunziana memoria, più che mai liberatore e profeta, non c'è dubbio, ma con juicio.
RAFFAELE COLAPIETRA