Rassegna storica del Risorgimento

Italia. Sidney Sonnino. Secoli XIX-XX
anno <1996>   pagina <522>
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Libri e periodici
mocratica e repubblicana tout court, che poteva suggestionare Kant nel 1798 e Jauiés nel 1901 nei confronti rispettivamente delle coalizioni assolutistiche e di quelle dell'affare Dreyfus, su quelle che sono le indubbie oscillazioni ed approssimazioni di Babeuf, in primo luogo il termidorismo immediatamente successivo alla caduta di Robespierre, che culmina nella giustificazione tragica­mente paradossale in chiave malthusiana delle stragi della Vandea, e poi la strumentalizzazione dell'Incorruttibile come cemento unificante per l'eterogenea mobilitazione di spostati, di falliti e di precari della cospirazione degli Eguali, una continuità giacobina più che comunista (il termine, notoriamente, non è dì Babeuf, e rimane confinato a fine Settecento nei grandi vagheggiamenti utopistici di Rétif de La Bretonne) non a caso rinverdita da Buonarroti nella riesumazione del 1828, destinata ad immortalare il nome ma anche a prolun­gare l'equivoco interpretativo di Babeuf, in realtà plebeo e massianico assai più che democratico, dittatoriale e sanguinario malgré lui, superatore della legge agraria egalitaria fine a sé stessa, ma non in grado di trascenderla in un comunismo coerente, pur da lui tracciato con spirito di caserma, per dirla con un libertario alla Herzen e come correttamente conclude la sola conve­gnista italiana intervenuta organicamente, Ida Cappiello (Regina Pozzi si preoc­cupa soltanto di segnalare la distanza fra Mazzini e Buonarroti e di dissolvere l'accennata patina robespierrista di Babeuf durante la monarchia di luglio). Non un Robespierre eterno , dunque, come supponeva Mathiez, ma neppure un Babeuf piccardo già comunista, come troppo rigorosamente con­cludevano Daline e Mazauric, un cammino accidentato che dalle grandi fonti canoniche accentrate intorno a Rousseau conduce alla religione dell'eguaglianza contro l'Ente Supremo robespierrista ed il Gesù sanculotto di Hébert, dalla legge agraria alla Vandea plebea come capovolgimento di presupposti e di valori imperniato sul relativo manifesto del cui utopismo annichilatore del male e del futuro la Cappiello compie una lettura serratissima per concludere con un quesito inquietante: Mais que penser de ce bonheur ?
RAFFAELE COLAPIETRA
AA.W., La Chiesa di Sicilia dal Vaticano I al Vaticano II, presentazione di Gabriele De Rosa, a cura di Francesco d'Arcais (Storia e cultura, 13); 2 voli., Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia, 1994, in 8, pp. 1028. L. 70.000.
Un aneddoto, che circolava molti anni or sono e sulla cui fondatezza è difficile, però, giurare, narrava che Togliatti, dopo aver letto un dettagliato programma di indagini sul movimento operaio e sulla stampa ad esso colle­gata, capillarmente condotto in province e regioni, abbia esclamato: è bellis­simo, è perfezionatissimo; l'unico inconveniente è che potrebbe essere quello di un movimento operaio che viva sulla luna.
A considerazioni di segno opposto si prestano i due volumi sulla chiesa siciliana nel periodo compreso tra i due più recenti concili ecumenici. Eppure con le difficoltà presenti nella metamorfosi compiuta durante l'arco secolare, considerato l'ambiente di una terra aspra ma generosa, non era difficile ca­dere nei disegni astratti e teorici.
La presentazione di Gabriele De Rosa, nel dare conto degli ostacoli pre­senti per il proficuo svolgimento della ricerca, si rivela della più viva utilità, ripercorrendo in una sintesi misurata i diversi contributi, dovuti nel I volume a Francesco Renda {Pro/ilo storico: Chiesa e società in Sicilia dall'Unità al Concilio Vaticano II), Francesco Michele Stabile {L'episcopato siciliano), Gae-