Rassegna storica del Risorgimento

Italia. Araldica. Secolo XIX
anno <1997>   pagina <387>
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Pubblicazioni araldiche di fine Ottocento
Crollalanza si scagliavano così contro i pregiudizi e l'ignoranza che ancora prevalevano in Italia, non solo tra il popolo, ma anche tra le stesse famì­glie nobili e tra i cultori di discipline affini.29) E a rafforzare il rigore che avrebbe dovuto sottostare ad ogni studio di blasoni gentilizi, Crollalanza elencava una serie di regole alla cui osservanza è ispirato il programma della scuola moderna.30) Con questi dettami si affermava che la scienza araldica non andava più considerata come la glorificazione di una casta privilegiata, ma come un ramo dell'archeologia e della storia dell'arte e dei costumi; che il buon senso e la logica dovevano sostituire la fantasìa e [il] delirio; che il blasone mitologico, biblico, eroico, consolare, gotico e carolingio si doveva ricacciare nei domini della favola e dell'epopea; che sarebbe stata negata l'autenticità di ogni arma anteriore al mille.31)
Indubbiamente si trattava di un notevole sforzo per superare le an­gustie in cui le fantasiose attività dei secoli precedenti avevano cacciato lo stadio dei blasoni e del loro simbolismo; tuttavia, sebbene si proclamasse in buona fede che l'araldica non sarebbe più servita per la glorificazione di un ceto, la commistione tra araldica e nobiltà, tra studio degli stemmi e il mondo medievale che questi rappresentavano, era inevitabile e si manife­stava, se non in un vero e proprio rimpianto verso l'epoca della cavalleria, certo nell'esaltazione della gerarchia, del ruolo superiore che andava rico­nosciuto alle casate che avevano saputo emergere nel corso della storia, nel passato che queste continuavano a incarnare. La rinascita dell'araldica, anche nei suoi intenti più rigorosi e scientifici, si inseriva così nella gene­rale riscoperta del medioevo, assumendo toni e significati particolari per l'inevitabile legame che essa aveva col mondo aristocratico.
23) Dopo aver elogiato l'accoglienza attribuita alla nuova scienza araldica in Germania, in Svizzera e in altri paesi europei, Crollalanza passa a descrivere la situa­zione italiana: È tea noi che l'Araldica è veramente impopolare, è fica noi che non ha saputo conquistarsi né il rispetto dei cittadini, né la stima dei dòtti, né il culto dei patrizi È fra noi che il seme delle nuove teorie ha fruttato più lollio che frumento; è tea noi che il collegio degli iniziati d'Iside è sopraffetto dalla legione dei violatori del tempio; è fra noi che un araldista coscienzioso è condannato a fare in un circolo di letterati la figura del corvo rivestito delle penne del pavone {ivi, pp. 34-35). Tutto ciò nonostante che anche l'Italia potesse vantare eminenti studiosi, sia pure pochi in confronto ai troppi dilettanti. La conseguenza di questo stato di cose è che l'an­tipatia per la scienza araldica è così prepotente nell'animo dei nostri letterati e dei no­stri storici, che non uno di essi saprebbe blasonare correttamente lo stemma della città di cui ci narra le vicende [...]. Ovunque, all'estero, una famiglia conosce perfet­tamente il proprio stemma, e si guarderebbe bene dall'alterarne lo smalto, dal cam­biarvi la posizione di una figura, dal toccarvi una sola linea. In Italia non è cosi. Il capriccio vi detta leggi (/**, pp. 36 e 39).
) Ivi, p. 30.
3) Ivi, pp. 30-33.