Rassegna storica del Risorgimento

Italia. Araldica. Secolo XIX
anno <1997>   pagina <392>
immagine non disponibile

392
Andrea Moroni
morale per assumersi tale carico.46) Ed è questo il compito cui, sia pure in forme diverse, questi scrittori chiamavano il ceto aristocratico. In alcuni casi si trattava di semplici affermazioni circa la naturale moderazione delle nobiltà, che le avrebbe consentito di frenare l'invadenza dello Stato e nello stesso tempo contemperare le passioni delle masse. Questa capacità deri­vava dalle sue virtù, dai legami che la univano col mondo contadino ren­dendola capace non tanto di controllare le masse agricole, quanto di gui­darle paternamente,47) dalla sua stessa storia, che, come visto, era intesa come un secolare esercizio di moderazione tra il dispotismo dello Stato e l'irruenza del popolo.
E facile leggere in queste affermazioni riflessi, sia pure generici, del pensiero di Montesquieu, ma alcuni scrittori si spinsero oltre, cercando di illustrare attraverso quali scelte la nobiltà avrebbe potuto riconquistare il proprio ruolo. È il caso di Santostefano Della Cerda, che dopo aver ri­cordato come in Italia non esistesse alcun articolo di legge che definisse i compiti della nobiltà, constatava che ciò nonostante i titoli continuassero ad essere conferiti, anche se ad essi non corrispondeva più alcuna prero­gativa. Ne seguiva che la nobiltà esercitava solo un prestigio morale: esi­steva una classe speciale della società che pensa, vive, e si agita in una sfera tutta sua propria .48) Questa classe si distingueva dalle altre per il censo (o almeno per l'agiatezza), per la migliore raffinatezza nel modo di vivere e più specialmente in quel certo non so che nel tratto, per quella giusta misura nelle sue relazioni col resto della società, che non si acqui-
46> Bettino Ricasoli fu il personaggio che più d'ogni altro incarnò questi aspetti Come giustamente nota Luigi Mascilli Migliorini, al momento della sua motte i molti commenti pubblicati per commemorarne l'opera sottolinearono ripetutamente la sua appartenenza ad una famiglia dalle antiche tradizioni feudali, che conservava, anche nella società moderna, le virtù etiche che le derivavano da una condizione aristocratica (L. MASTITIJ MIGLIORINI, Bettino Ricasoli cit, p. 318). la scelta di vivere a Brolio, la leva­tura intellettuale unirà alla condotta morale, il forte legame col mondo agrario erano tutti elementi che non solo ponevano il barone al di sopra di tanti altri uomini pub­blici, ma che, soprattutto, pesavano fortemente nel confronto con un presente domi­nato dalla corruzione e privo di orizzonti ideali (cfr. ivi, p. 314 e passim).
A7> Ancora una volta era Bettino Ricasoli ad essere additato come il miglior rap­presentante di nobili quasi puritani, orgogliosi ma buoni, che la coltivazione delle proprie terre riguardavano come un dovere e volevano i contadini in buone condizio­ni ma sempre soggetti, e nella vita pubblica arrogavano il predominio, ma senza mire egoistiche, bensì per devozione piena, assoluta all'idea del dovere cavile e per innato spirito di sacrificio (D. ZANICHELLI, Prefazione a Lettere politiche di Bettino Ricasoli, Ubaldino Peru(i, Neri Corsini e Cosimo Ridolfi, a cura di S. Morpurgo e D. Zani­chelli, Bologna, Zanichelli, 1898, p. XVH, cit. da L MASCILU MIGLIORINI, Bettino Ricasoli cit., p. 321). Ancora una volta legame con la terra, spirito di sacrificio, eticità sono valori presentati come parte di un indissolubile intreccio che caratterizza la nobiltà.
i A. SANTOSTEFANO DELLA CERDA, Sangue azzurro cit, p. 91.