Rassegna storica del Risorgimento

Italia. Araldica. Secolo XIX
anno <1997>   pagina <394>
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Andrea Moro ni
do malessere.54) Certo gli scrittori di araldica e genealogia non si distingue­vano per profondità di pensiero e di analisi, ma facendo leva sulla vanità di tanti ricchi, sul senso di frustrazione che doveva angustiare tanta pic­cola nobiltà,55) e sul generale malessere di fine secolo riuscirono ad arn-
*9 Si consideri ad esempio quanto sosteneva, nel 1894, Guglielmo Ferrerò, uno dei maggiori rappresentanti della scuola lombrosiana, quando, riflettendo sulla situazio­ne politica e morale nei regimi parlamentari, trovava negli scandali verificatisi in Fran­cia e in Italia la controprova dello squilibrio tra la morale politica e la morale indi­viduale (G. FERRERÒ, ÌM morale politica e la morale individuate, in La Riforma sociale, I, fase. 11-12, 10 luglio 1894, cit in L. MANGONI, Una crisi fine secolo, cit, p. 166). Alla corruzione nelle classi alte corrispondeva ormai la violenza politica nelle classi popolari; vi era così coincidenza tra la disperazione e Podio che salivano dal basso e la mancanza di moralità e l'egoismo che dominavano in basso (cfr. L. MANGONI, Una crisi fine secolo cit, p. 166). Come nota Luisa Mangoni questi attacchi finivano per andare oltre il Parlamento italiano per riferirsi al parlamento in sé, la cui evoluzione naturale, con l'estensione prima o poi inevitabile del suffragio, non avrebbe potuto che peggiorare la situazione esistente (p. 167). Un altro esponente della scuola lom­brosiana, Scipio Sighele, portava alle estreme conseguenze questo ragionamento affer­mando che l'ampliamento della partecipazione popolare avrebbe avuto come gravissi­ma conseguenza raffermazione della tirannia dei moltissimi (cfr. ivi, pp. 168-172). Al di là dei molteplici aspetti culturali e politici di queste tesi, ben analizzate da Luisa Mangoni nel suo studio, importa qui notare come gli scritti di araldica e genealogia proliferassero in coincidenza con una situazione dominata da un diffuso malessere e dove, nel dibattito politico, non si esitava ad accusare esplicitamente la corruzione del ceto dirigente, arrivando, nei casi ora accennati, a condannare lo stesso sistema parla­mentare in quanto tale. Le proposte e le analisi degli scrittori araldici non sono nem­meno paragonabili con quelle ricordate o con altre che da parti opposte venivano avanzate (come ad esempio da parte del gruppo che faceva capo al Giornale degli eco­nomisti, su cui si veda R VIVARELLI, Liberalismo, protezionismo, fascismo cit.), ma per quanto vaghe e anacronistiche le loro lamentazioni cadevano se non altro su di un terreno fertile e forse disposto ad accogliere anche proposte di rinascita nobiliare. Del resto si deve notare che anche un altro importante aspetto del dibattito politico italia­no ed europeo di fine secolo, quello ricordato che opponeva il modello liberal demo­cratico, rappresentato dall'Inghilterra, a quello autoritario, rappresentato dalla Germa­nia, trovava un sia pur esile riflesso negli scritti qui analizzati essendo evidente la condanna del primo e un'inclinazione verso il secondo, come più tardi testimonierà il compiacimento con cui sarà accolto il regime fascista. Va comunque notato che anche questa adesione al modello autoritario non era priva di contraddizioni, dato che uno dei modelli dei sostenitori della nobiltà era sempre stato quello rappresentato dall'ari­stocrazia inglese, che aveva saputo conservare il proprio molo politico e sociale.
*> Se molte delle più potenti e deche famiglie nobili dovettero riuscire, almeno nel XDC secolo a conservare potenza e influenza, lo stesso probabilmente non può dirsi delle casate della piccola nobiltà che si videro non solo private di privilegi sia pure onorifici, ma anche scavalcate da una borghesia che si appropriava, attraverso nobilitazioni tardive o posticce, di quel passato che il suo avvento al potere aveva contribuito a svalutare. Si veda ad esempio quanto sostenevano i redattori deH'Ann/fario della nobiltà italiana nel numero del 1892, dove, nel ricordare gli scopi per cui 15 anni prima era nata la rivista, affermavano di aver voluto conservare quel rispetto alle tradizioni domestiche che si va sempre più perdendo, mentre, strana contraddizione, cresce invece l'usurpazione dei titoli nobiliari nelle famiglie che non vi